Ritornano i Real Estate dal New Jersey, band capitanata da Martin Courtney, con Jackson Pollis, Jonah Mauer e Julian Linch. Ormai della formazione originale rimane ben poco, quasi tutti i membri sono stati sostituiti, e questo aveva fatto pensare a molti che la magia creata nei primi album, fino ad “Atlas”, sarebbe stata difficilmente ripetibile. Il quinto lavoro della band, invece, mantiene saldo il suo legame con le origini. I testi raccontano ancora la vita dei sobborghi, con un’atmosfera che si fa a volte magica e a volte drammatica.

Nell’introduttiva Friday, un suono vellutato e avvolgente assorbe un venerdì rilassato da cocktail al bar con una fresca brezza di mare. Paper Cup è un pezzo psichedelico con una chitarra mediterranea degna dei migliori Phoenix (o anche di un nostrano Pino Daniele), sonorità dolci anni ’70 e il mix electro-folk dei Sylvan Esso.

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In Gone gli Arctic Monkeys più rarefatti strizzano l’occhio alla voce dei Black Keys e ci traghettano fino a You, più felice e spensierata, e November, ottima per un viaggio in jeep all’interno di un parco.

Come una vecchia televendita di coltelli che vedevo alla televisione quando avevo la febbre, arriva Falling Down, un titolo azzeccato per questo brano. Also A But è degna di nota per l’attacco psichedelico di chitarra, per poi ripetersi nel solito controcoro da Tame Impala mal fatti.

In The Main Thing torna un attimo di felicità. Un buon attacco alla vecchia maniera, finalmente una sola voce diretta e un’andamento non lineare e mutevole in cui il mix tra psichedelia e indie funziona bene, abbracciandosi. Shallow Sun e la strumentale Stin seguono il flow del disco.

Quando oramai abbiamo buttato i nostri sentimenti oltre l’ostacolo, arriva Silent World; un ringiovanimento del suono che segue in Procession e si conclude con un’altra strumentale, Brother, una brezza fresca.

Che dire, un album degno, fatto bene, un mare di suoni dal moto ondoso costante con qualche cavallone ogni tanto. In fondo un mare al tramonto è sempre uno spettacolo per cui vale la pena  fermarsi un attimo.

Nicandro Crolla

 

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