Che cos’è il tempo? Di cosa è fatto? Il tempo assoluto, il tempo relativo, il tempo dell’uomo, il tempo universale, “il tempo che non c’è, eppure spesso ci sconforta”, come scrivevo io qualche anno fa. Il tempo che non coincide mai con sé stesso, perché non siamo capaci di farlo coincidere con noi. Passa troppo lento, troppo veloce, è statico, è già andato. Come si fa a “Fregare il tempo”? Siamo tanto piccoli e tanto “fuori dal tempo”, in realtà, che l’unico tentativo che possiamo fare è quello di vivere i nostri di tempi, quelli esteriori e interiori, nel miglior modo possibile. Logan Laugelli applica questo principio attraverso la musica.
Laugelli è un cantAutore, con la “A” volutamente e scoordinatamente maiuscola per una buona grafia. Cosa è buono? cosa è cattivo? Cos’è la normalità? Logan ha prodotto questo lavoro solista, come è sua abitudine, in completa autonomia. Ha iniziato con un iPhone e un PC, ha scritto le parti di ogni strumento da zero, si è curato degli arrangiamenti e si è così autoprodotto, affidandosi al Gotama Studio per il mastering e a Gasterecords per la pubblicazione.
L’introduzione di quest’album, “Fregare il tempo”, è perfettamente a tema. Ci sono tante definizioni di tempo, più o meno scientifiche, più o meno spirituali, e sono proprio queste caratterizzazioni iniziali a dare il via a tutto. Intro è anche il preludio del secondo singolo, che dà il nome all’album e lo completa come una liason tra due parole. Questo mi fa pensare al “tanto” che sta prima ancora dell’inizio, ma qui andiamo sul complicato.
Fregare il tempo, il singolo, è un pezzo che commuove (e non è l’unico) per la sua sincerità, per la bellezza della nostalgia che fa emergere e perché Laugelli mette a nudo i suoi sentimenti e li condivide in modo da farli persino immaginare. Ci travolge in una storia che è di molti, ma non di tutti – perché in fondo dipende da come si vivono le cose – nel modo più onesto, crudo, semplice e profondo che ci sia. Il ricordo “dei quindici anni”, dei sogni e della spensieratezza. Il contrasto con tutti quei “lupi che ululano” e che “è meglio non sentire”, i dubbi, la mancanza d’innocenza del mondo e il diverso sguardo che ognuno di noi sviluppa crescendo.
“Distruggere ha un prezzo”, ad esempio quello di essere trattati come “merci di bestiame”. Logan però non sembra per niente darla vinta alla rassegnazione, cambia scena: perché si dovrebbe smettere di sognare? Si tratta di una scelta. Si può crescere e sognare malgrado il presunto futuro o crescere senza speranze e farsi inghiottire. In fondo, come dice Logan, basta saper fregare un po’ il tempo che, se ci pensate per bene poi, significa andarci più d’accordo.
Beati voi, il secondo brano, ci porta nell’animo degli artisti e, più in generale, di tutti coloro che hanno un’intelligenza e una sensibilità più vive. Si tratta di quel modo d’essere che a volte ti fa dire “che palle” e che ti fa concludere con un “però è meglio essere così”. C’è chi vede e sente di più e, a volte, può essere una bella menata, ma è anche rivelazione, è nitidezza di sentimenti. Con un’atmosfera eterea, la calda voce di Logan parla ai cosiddetti “beati”, quelli che si accontentano, quelli che credono di essere sicuri, quelli che “danno a vedere”, ma sono cechi. “Beati voi che non accettate sogni dagli sconosciuti”, sussurra urlante Logan.
Beati voi, certo, è più comodo perché “sapete sempre chi cazzo siete”, “credete ma non avete fede”. Questo pezzo mi fa pensare a Baudelaire, quando scrisse “Io non sono convinto per come lo intendono gli uomini del mio tempo, […]. Solo i briganti sono convinti, così riescono.” Così, tra melodie dolci e incazzature, Logan viaggia sul binario della coscienza collettiva e di quella individuale. Il suono trascina in ogni brano e il timbro si adagia sulla musica come se le parole cercassero rifugio in essa. In questo album c’è angoscia, ma non è un’angoscia che detta la fine di qualcosa. Se mai è un cammino tra le braci, ma stando attenti a non scottarsi, dall’altra parte io ci vedo una bella cascata.
Non mi fido è stato pubblicato come primo singolo, scelto ad agosto per ingolosire gli ascoltatori. Infatti è discograficamente “goloso”, nel senso più positivo del termine, naturalmente. Quarta traccia dell’album, è un brano dal fare ipnotico, con una composizione dinamica che passa dal “ora ti faccio questo discorso” al “sono indignato, disgustato e incazzato”, ma sempre con quel tic costante nella melodia che lo rende una spirale in bianco e nero, anche per la tematica. Giustamente definito come possibile prosieguo di Beati voi, Non mi fido è l’espressione della repulsione di Logan verso quel tipo di persone. Ipocriti, pecoroni, lobotomizzati e affini.
Ragazzo distratto, scritta qualche anno fa e incisa solo ora, è un corto sulle scene quotidiane di una certa zona di Bergamo. Introdotto come se fosse leggero, in hawaian style, in realtà è molto terra terra. Non manca ovviamente la riflessione tipica dell’autore perché nel mondo in cui viviamo, che si tratti di Bergamo o New York, c’è sempre qualcosa che ci porta alla distrazione come metodo di difesa.
Intermezzo è un intervallo, un’azione scenica sonora fatta da rumori ben riconoscibili al nostro udito e che sono rappresentazione di quel che poi è testuale in Quarantena Blues. Il settimo brano è infatti lo specchio di quel che molti hanno vissuto durante il primo periodo di lockdown. Al di là delle singole azioni, il riferimento è più allo stato d’animo, blues appunto. Il protagonista non ha motivazioni, è isolato, svogliato dal fare qualsiasi cosa, turbato dalle sirene, che diventano suono psichedelico, come se l’uomo sul divano si perdesse, a un certo punto. Di fatto, tutto diventa ovattato e così si fa strada un “mal di schiena” da ozio. Un brutto ozio che guida verso una distruttiva “indifferenza alla Luna”. Armonica, chitarra, tristezza e la tastiera sempre come base del pezzo, cosa che non rende il brano un “vecchio blues”, ma appunto un “blues da quarantena”.
Scherzi al cane è un fischiettio di frustrazione, frutto dell’essere gentili e buoni anche con chi ci tratta male. A volte si avrebbe voglia di rendere pan per focaccia, ma non in tutti i contesti questo è possibile, dunque ecco che si fa strada quel sentimento di oppressione. L’azione del “fare scherzi al cane” e giocarci, è un modo per distrarsi da tutto questo e andare verso qualcosa di certamente più genuino, perché le apparenze che così tanto pesano, sono tra le cose che più tolgono spontaneità agli individui.
In Anche se, il protagonista si rivolge alla persona amata, perlomeno con il pensiero. Riflette su quel che non gli dice, perché di fatto è incapace di farlo come dovrebbe. Se amiamo una persona è naturale fargli notare quando sta sbagliando su qualcosa, soprattutto se la scelta che sta facendo è importante, ma il personaggio principale di questo pezzo non ci riesce e si perde in discorsi più futili. Dentro però è turbato e fa notare in qualche modo che è un suo problema generale il non riuscire ad esprimere le proprie emozioni: “…potremmo altresì abituarci al nostro inferno e anche se l’ho solo immaginato, non è detto non sia vero”.
Gli stivali, già presente nell’EP “La noia del sabato sera”, è stato qui totalmente riarrangiato e riprende nuovamente il tema del tempo umano, al quale non si può sfuggire. Il tempo è anche meteorologico e si allaccia brevemente al problema climatico, per ricollegarsi poi alle domande e ai dubbi del tempo che passa, del gustare i momenti, come quello di un bacio e del fatto che, a volte, spegnere la luce ci da l’opportunità di vedere meglio ed “oltre”, in positivo o in negativo che sia.
Lara Aversano
