Roma, 14 ottobre 2017

PROLOGO. Nel lavoro sul corpo che sto seguendo per tentare disperatamente di mettere in bolla i numerosi disequilibri emozionali che mi rendono Vedova, esiste un esercizio chiamato “Doppia Consapevolezza”. Dopo aver evocato e riaperto la ferita che ci procura disagio, che sia essa paura, vergogna, shock o abbandono, l’esercizio insegna a rimanere presenti a sé stessi, evitando la quanto mai comprensibile e diffusissima tendenza a compensare per rimuovere quel fastidio. Per farlo è necessario imparare a sentire attraverso le sensazioni fisiche tutto quel dolore, ma contemporaneamente riuscire a percepire anche parti del corpo che magari non ci stanno procurando piacere, ma quantomeno non sono coinvolte nella sofferenza. Sembra banale, ma è una delle cose più difficili del mondo. In primis perché ci accorgiamo di avere un corpo solo quando ci fa male, inoltre perché portare attenzione cosciente contemporaneamente in due punti, e non spostandosi alternativamente dall’uno all’altro, significa essere in grado di mantenere un livello di concentrazione non indifferente. Ma se si inizia a fare pratica accade una meravigliosa dilatazione della coscienza, che porta a percepire il proprio essere come un universo in espansione, in grado potenzialmente di contenere qualsiasi cosa. Qualsiasi dolore, qualsiasi gioia, qualsiasi emozione. In una parola, è una pratica che rende liberi, e pieni, e finalmente interi.

Questa è stata la riflessione immediata che mi è sorta di fronte al meraviglioso spettacolo della compagnia canadese di danzatori The Holy Body Tattoo, con musiche originali dal vivo dei Godspeed You! Black Emperor, presentato all’Auditorium della Conciliazione in occasione del Romaeuropa Festival.

monumental, questo il titolo dello spettacolo, è davvero un’opera monumentale e, senza timore di scomodare il caro vecchio Wagner, oserei dire totale. In senso wagneriano, la Gesamtkunstwerk si può infatti leggere come il tentativo di creare una sintesi perfetta tra musica, danza, poesia e arti visive. Se le prime due componenti sono sicuramente preponderanti in monumental, non sono mancate nemmeno le seconde attraverso le parole dell’artista Jenny Holzer e alcune immagini proiettate che facevano da contrappunto in modo misurato, ma quanto mai significativo, comparendo e scomparendo sopra un velo che separava i musicisti dal resto del palco.

Una vera e propria fusione sinestetica tra tutte le arti, per restituire un ritratto dolorosissimo, intenso, disturbante e profondamente rock’n’roll sulla condizione umana e le sue follie, sulla fragilità, la solitudine, l’incomunicabilità, e sui meandri tortuosi e tormentati della mente. Un ritratto che sul palco ha trovato monumentale espressione appunto, nella continua torsione dei corpi, isolati prima su piedistalli e poi in ossessivo e inarticolato agitamento alla disperata ricerca della quiete e di un reciproco, consolatorio e sempre frustrato contatto.

Corpi in abiti da lavoro, ma preda di tic ossessivi e sconnessi, specchio di profonde ferite interiori. Il tutto mentre i sibili taglienti delle chitarre, il senso di urgenza delle percussioni e i lamenti pregni di inquietudine di un violino restituivano e completavano il quadro attraverso muri sonori compattissimi, incalzanti e densi, come nella migliore tradizione del post rock, portando alla massima esaltazione possibile la componente visiva e coreografica e restituendo un’esperienza estetica pura, che mi ha tenuto con la pelle d’oca per gran parte dello spettacolo.

Non facile fare spazio a tutta questa potenza, a tutta questa bellezza, a tutta questa emozione. Non facile accogliere tutto contemporaneamente. Il rischio di concentrarsi sull’uno o sull’altro aspetto, oscillando alternativamente tra il leggere le parole della Holzer, seguire le coreografie o perdersi nei labirinti musicali, ha richiesto infatti una pratica di fruizione a cui bisogna essere almeno un po’ avvezzi. Il bello però è stato che anche qui, come nell’esercizio della “doppia consapevolezza”, la posta in gioco era molto alta: fare esperienza di quell’espansione dell’anima a cui l’arte, così come la meditazione, può far accedere, permettendo la percezione dell’intero. Il privilegio di averne preso parte ancora una volta è il motivo per cui ogni mattina mi sveglio grata di essere al mondo.

La Vedova Tizzini

Potresti avere la sensazione che il tuo sé si trovi in un punto del tuo corpo dietro l’occhio destro piuttosto che dietro il sinistro. È preferibile non incoraggiare questa scissione tra un occhio e l’altro che rende possibile la guerra civile.

Jenny Holzer

 

Le foto di Giada Spera