Milano, 11 novembre 2019

 

Fuori la pioggia fredda e lunga di novembre. Dentro sta per consumarsi uno dei concerti che lasciano il segno, e che a ripensarci, poi, sono quasi difficili da raccontare, replicare con le parole quello che da solo ha fatto la musica.

Glen Hansard sale sul palco alle 21, attacca con I’ll Be You,Be Me, il brano con cui si apre “This Wild Willing. Dietro di lui la scena è sgombra, le luci sono calde, nude come quelle di un pub. Torna subito a “The Swell Season”, poi dedica My Little Ruin a Colin, la giovane violinista: “C’è stato un terremoto in Francia, casa sua non esiste più”.

Segue When Your Mind’s Made Up, dopo pochi minuti l’intensità è straordinaria. Allora Hansard si siede al piano, da solo, e battendo sui tasti ci schiaffeggia tutti con una versione esplosiva di Bird of Sorrow (è uscito in questi giorni un video di Myles O’Reilly in cui Glen suona questo brano per la madre, che assiste in vivavoce dal telefono, commossa. Vi consigliamo di guardarlo qui).

Da The Closing Door, il suo omaggio a Bob Dylan e a tutti coloro che hanno il coraggio di agire, la scaletta spazia tra vecchio e nuovo, tenendo in equilibrio panorami sonori estremamente distanti, come l’arabeggiante Race to the Bottom, impreziosita dagli interventi della chitarra di Javier Mas. Poi altri due schiaffi, Leave a Light, ancora da solo, accarezzando la chitarra, e The Storm, It’s Coming.

Quindi l’artista irlandese fa salire sul palco Renato, uno spettatore che gli aveva scritto chiedendogli di suonare Time Will Be the Healer, e a cui il cantautore ha risposto prontamente, a patto che fosse lui a cantarla sul palco. I momenti inclusivi sono sempre stati presenti negli show di Glen Hansard, ma raramente con voci così precise ed emozionanti come quella di Renato.

Way Back in the Way Back When è un successo corale, la tensione emotiva si scioglie e diventa festa. Glen canta a cappella Grace Beneath the Pines, poi si gode l’esplosione del pubblico per Fitzcarraldo, non l’unico accenno ai Frames della serata. Partono le richieste, qualcuno vuole sentire Drive All Night, Glen presenta Her Mercy e poi, non si sa bene come, si attacca al meraviglioso brano del Boss, tutti contenti.

Nel bis sale Nina Hynes, che ha aperto il concerto, e la band si scatena insieme a lei, che conclude a terra, stridente. Gold è un regalo quasi inaspettato, come inaspettata è Star Star, suonata in lungo, con ogni variante possibile le sia stata incollata negli anni, mescolata a Pure Imagination, Hotel Lounge e The Most Beautiful Widow in Town.

Un concerto da brividi, dall’inizio alla fine. Glen parla di meno, ma la scaletta è perfetta, c’è tutto quello che gli si può chiedere. Con l’ultimo disco avevamo percepito una certa maturità, un traguardo evidente. Tutto confermato, Hansard è uno dei musicisti più espressivi ed eclettici in circolazione, il folk strillato e le corde rotte sono solo una parte del repertorio.

Camminando nel diluvio fuori dal Fabrique, si avverte la certezza che nei prossimi giorni riascolteremo le sue canzoni a lungo, cercando di richiamare alla mente gli attimi di questa sera.

Mattia Sofo

 

PHOTO GALLERY
Ph: Stefania Pucci

E adesso l’angolo dei se… iniziamo?

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