An Early Bird, all’anagrafe Stefano De Stefano, è un artista coraggioso e sincero. Con delicatezza e spiccata sensibilità, descrive il travaglio dei sentimenti come pochi osano fare in Italia. “Diviner” è il terzo terzo capitolo di una carriera iniziata nel 2018 con “Of Ghosts & Marvels”, ormai un piccolo classico del sottobosco nostrano. Dall’esordio di stampo indie-folk, però, il musicista di origini campane si è leggermente allontanato per abbracciare uno stile più improntato alla modernità, con qualche puntata nel soul e nel synth-folk.

Questo nuovo lavoro, pubblicato per la tedesca Greywood Records (così, per prendere un pochino le distanze dalle produzioni indipendenti italiane sempre più aggrappate al mainstream), prosegue quindi sulla strada già intrapresa con il precedente “Echoes Of Unspoken Words” e i brani pubblicati nel mezzo (tra cui la collaborazione con l’amico Old Fashioned Lover Boy). La vocazione internazionale, da sempre marcata nell’opera di An Early Bird, impreziosisce il risultato infondendo un senso di appartenenza e familiarità che allieta al primo ascolto.

L’intero disco mantiene un andamento pacato, senza mai eccedere nel manierismo. Semmai le tredici tracce in scaletta oscillano tra ambientazioni autunnali e malinconiche (Prayers In A Temple, Angela) e quelle di una primavera ancora umida di rugiada (Holding Onto Hope, Go All Out). Alla chitarra, strumento cardine nel recente passato di De Stefano, si aggiunge spesso il piano, che a volte prende addirittura il sopravvento. Da queste ultime composizioni riaffiorano vecchi ricordi e nuove suggestioni: l’eco lontana di Bon Iver, il sussurro raffinato di Sparklehorse, quello sintetico dei primi Daughter, il nuovo folk aperto alle sperimentazioni.

Viene quasi da definirli bozzetti, ma non lo sono. Il lavoro di An Early Bird è certosino, impeccabile nella sua semplicità. Canzoni trascurabili non ce ne sono. E allora per concludere, vi segnalo le mie preferite: innanzitutto Help Me Shine, la traccia d’apertura. Un brano che, strano ma vero, ha il sapore di qualche ballata degli Smashing Pumpkins di “Adore” (vedi To Sheila). La successiva Fishes In The Ocean riesce a pescare in profondità, tra le paure e gli ostacoli che la vita ci pone davanti ogni giorno, in un crescendo di grande impatto emotivo. Infine One Week, sorretta dall’incedere del piano e dalle incursioni dei synth, che dilagano sul finale.

Paolo