C’è un momento, durante un concerto di Jehnny Beth, in cui il confine tra palco e platea si dissolve. Non è questione di scenografia o effetti speciali, ma di presenza. Il suo corpo, la sua voce, le sue parole diventano gesto, urgenza, bisogno primordiale di comunicare qualcosa che non può essere solo “suonato”. È in quei momenti che si capisce davvero chi è Jehnny Beth. O, meglio, chi sceglie di essere, ogni volta.

Dal post-punk al cuore infranto

Per chi l’ha conosciuta come voce magnetica delle Savages, Jehnny Beth era — e in parte resta — una sacerdotessa del post-punk moderno: look androgino, occhi come fenditure elettriche, una voce capace di passare dalla carezza al ringhio in un secondo. Ma quella fase, seppure centrale, non è mai stata un punto d’arrivo. È stata, semmai, un trampolino verso un universo più complesso.

Con l’uscita del suo primo album solista, To Love Is to Live (2020), Jehnny ha cambiato pelle. Ha abbandonato il suono crudo delle Savages per esplorare territori più introspettivi e cinematici, collaborando con nomi come Atticus Ross e Romy Madley Croft. Quel disco era un diario esistenziale — lirico, oscuro, a tratti apocalittico — che scavava nelle contraddizioni dell’identità, del desiderio, del potere. Un lavoro che sembrava dire: “Non sono solo rabbia. Sono ferita, sono sogno, sono colpa, sono corpo”.

Un disco fatto a mano (con una costola rotta)

Nel 2025 Jehnny Beth è tornata con un nuovo album, You Heartbreaker, You, un titolo che è già dichiarazione. Ma non nel senso romantico e languido del termine. Il cuore spezzato, qui, è qualcosa di più viscerale: è paura, è violenza emotiva, è il rischio implicito in ogni relazione. In un’intervista, Beth ha detto:

“A volte siamo la parte che viene rotta, a volte quella che rompe”.

Il primo singolo, “Broken Rib”, nasce proprio da un incidente fisico — una costola rotta — che diventa metafora. Anche con una ferita interna, si può ancora cantare. Anzi, si deve. Perché in un mondo che urla senza sapere cosa dire, Jehnny Beth ha scelto di sussurrare con lucidità e urlare con senso.

L’album è stato realizzato in modo quasi artigianale, insieme al partner artistico e di vita Johnny Hostile, nel loro studio-casa. Niente fronzoli, niente sovrastrutture: solo voce, suono, tensione. Ed è così che You Heartbreaker, You riesce a unire l’anima abrasiva delle Savages con una maturità narrativa più profonda e personale.

 

Il ruolo centrale del corpo.

Per Jehnny Beth, il corpo non è un contenitore. È strumento, linguaggio, teatro. Sul palco, ogni gesto è misurato ma istintivo, rituale ma improvviso. C’è qualcosa di sciamanico nelle sue performance: ti entra dentro, ti costringe a sentire. Ogni concerto è un atto fisico, viscerale, dove la voce è solo una parte del messaggio. Anche fuori dalla scena musicale, il corpo è centrale. Lo si capisce nelle sue incursioni cinematografiche, come nel film Anatomia di una caduta, vincitore a Cannes e agli Oscar, dove interpreta un ruolo in bilico tra ambiguità e verità. Non recita, incarna. E il confine tra il suo modo di cantare e quello di recitare è così sottile che quasi non si nota.

Ribelle ma con stile

Jehnny Beth non è una ribelle da slogan. Non ha bisogno di “posizioni” per affermarsi. La sua arte è politica proprio perché non è didascalica. È radicale nella forma, nella scelta di non piacere a tutti, nel modo in cui espone la vulnerabilità senza imbarazzo.

Il suo essere bisessuale, ad esempio, non è un tema militante, ma un dato esistenziale. È una chiave per leggere testi che parlano di confini sfumati, di identità che non si lasciano imprigionare. Di corpi che amano e distruggono. Di relazioni che salvano e condannano.

Una data unica in Italia

Il 18 ottobre 2025 Jehnny Beth porterà You Heartbreaker, You in Italia, con una data unica al Circolo Arci Bellezza di Milano. Non sarà uno show da palazzetto — non lo è mai stato — ma un incontro ravvicinato con un’artista che non ha mai cercato scorciatoie. Un evento intimo, necessario, pieno di tensione e bellezza.

Per chi ha voglia di ascoltare una voce che non teme di mostrarsi nuda, e che usa ogni suono come un colpo di scalpello sul marmo dell’anima, è un’occasione da non perdere.

 

Una ribellione che non finisce mai

C’è qualcosa di eterno in Jehnny Beth. Non perché la sua musica voglia essere “classica”, ma perché attinge a una necessità primaria: dire la verità anche quando fa male. Anzi, soprattutto quando fa male. Non canta per vendere, non compone per piacere. Lo fa per sopravvivere. E per farci capire che anche noi possiamo farlo.

Quindi, se non l’hai ancora ascoltata, fallo ora. Se l’hai già amata, preparati a rimettere in discussione tutto. Perché la ribellione non è un punto d’arrivo, è una pratica quotidiana. E Jehnny Beth ne è una delle voci più limpide, feroci e necessarie del nostro tempo.