Malgrado l’infelice scelta del moniker The Natvral (quella “v” fra due consonanti sarà un rimando alle humanae litterae o è una metafora dell’illeggibilità della natura?), questo “Tethers” si erge sopra la maggior parte degli album pubblicati finora in questo secondo anno di era pandemica. Fatta eccezione per un EP e un paio di singoli, si tratta della prima uscita solista di Kip Berman, ormai ex leader dei The Pains of Being Pure at Heart. In questo lavoro l’artista si spoglia completamente degli strati di chitarra shoegaze che l’avevano lanciato nell’universo indie, per abbracciare uno stile molto più tradizionale, senza perdere la capacità melodica e l’istinto emozionale che lo hanno sempre contraddistinto.

“Tethers” ci mostra un novello folk singer elettrico (ma mai caotico o estremo) alle prese con nove canzoni nelle quali è chiaro il suo amore per le lande sconfinate degli States e per le storie che qualunque patito del rock USA ha imparato ad apprezzare dai racconti di Bob Dylan e Bruce Springsteen. Berman  si concentra sull’epica statunitense alla “Highway 61 Revisited” già a partire dall’open track Why Don’t You Come Out Anymore?: voce, chitarra elettrica, basso, batteria e organo. Il fingerpicking della successiva New Moon mostra invece il lato più intimista del Nostro.

L’album prosegue fra cavalcate da FM americana (Sun Blisters e Runaway Jane), ritmi punky alla Tom Petty (New Year’s Night), ballatone da vecchio west (Tears of Gold e Sylvia, the Cup of Youth) e country rock seventies fra Neil Young e Gram Parsons (Stay in the Country). Il finale vede The Natvral sbarcare a Londra nella semi ballad Alone in London e non è difficile immaginarci Kip Berman appoggiato a una finestra di una casa vittoriana con cappello da cowboy e doppietta fumante.

Andrea Manenti