A gennaio è sceso dal cielo un fulmine a ciel sereno: i National, quelli di Matt Berninger e la doppia coppia di fratelli, faranno una data, unica in Italia, al Pistoia Blues. Non stupisce tanto la location (già da qualche anno la il festival ha ben poco di blues al di là del nome), quanto la tempistica: non c’è un disco in arrivo, l’ultimo Trouble Will Find Me risale a ben tre anni fa e le date sono solo una manciata, sparse per l’Europa. Siamo ancora in pieno inverno, ma compriamo i biglietti e ci proiettiamo mentalmente verso luglio.
Fast-forward di sei mesi. Piazza del Duomo a Pistoia, tardo pomeriggio, il caldo soffocante dell’estate toscana. In coda nei vicoli della città medievale ascoltiamo i discorsi degli altri, tutti con un minimo comun denominatore: sono (siamo) tutti qui perché speriamo di sentire quella canzone che ci farà piangere a dirotto. Ognuno ha la sua, e io non so da meno.

Ma prima, Father John Misty. Elegante in nero con i jeans stracciati alle ginocchia, faccia di bronzo da uno che la sa lunga, apre il concerto con quella Hollywood Forever Cemetery Sings che era il singolo di lancio del suo attuale moniker; poi si dedica quasi interamente all’ultimo I Love You, Honeybear, mentre frattempo dà fondo a tutto il suo repertorio di mosse, mossette e acrobazie: balla, si agita, lancia chitarre, si butta e ributta a terra, si ficca il microfono nel pacco (così, tanto per gradire) e cazzeggia col pubblico (“Now I want to hear it from the left sector”, due persone sulle gradinate, “Sorry, I should have specified stage left”). Tillman è una bestia da palcoscenico e la performance è notevole, complice soprattutto una intensa Bored in the USA chitarra acustica e voce.

Cambio palco, cambio birretta e arrivano i titolari della serata. Calice di bianco col ghiaccio in mano, Matt Berninger attacca con una scaletta ormai tutt’altro che imprevedibile, i singoli dell’ultimo disco in testa. L’apertura con Don’t Swallow the Cap, I Should Live in Salt e Sea of Love è potente e la voce di Matt in forma. Poi al quinto brano arrivano le prime novità, due pezzi nuovi a cui seguiranno altri due inediti a metà concerto e uno nell’encore.
Parentesi doverosa: queste canzoni nuove le avevamo già ascoltate avidamente da video più o meno traballanti su YouTube e, proprio come in quei video, non convincono del tutto. Meglio: si sente un’idea di direzione, tutto sommato salda nel solco del navigato songwriting dei dischi precedenti, ma l’impressione generale è quella di abbozzi, prime stesure da sala prove, con una parte strumentale già definita contro un cantato incerto, a tratti confuso e affrettato. Sicuramente non brani pronti alla prova del live, o forse proprio per questo buttati nella mischia del pubblico per capirne le reazioni.

Il resto è ordinaria, intensissima amministrazione, fatta di classici come I Need my Girl, Slow Show e England. Nel mezzo, a sorpresa, spuntano una Hard to Find che raramente vede le luci del palco e una bellissima cover di Peggy-O (“Does any of you here know a band called Greatful Dead?”), dal progetto-tributo Day of the Dead, uscito per 4AD su iniziativa dei fratelli Dessner e dedicato alla storica formazione californiana. Su Pink Rabbits poi la piazza si trasforma in un tripudio di starlight rosa: l’effetto è bellissimo, la pioggia di bracciali luminosi verso il palco alla fine del pezzo ancora di più (per la gioia della security, bersaglio involontario del lancio). Chiude il set About Today, dedicata “to the European Union”, e giù lacrime per uno dei pezzi più semplici e commoventi di una discografia quasi sempre struggente. Giù dal palco e di nuovo su, l’ultimo inedito Keep – più strutturato degli altri, questo – e l’immancabile combo Mr. November e Terrible Love a levare quel poco di voce che era rimasta in gola alla folla. Matt scende dal palco, corre sugli spalti, mezza piazza lo segue e lo inchioda in un angolo; lui non si scompone troppo, torna alla base tra le pacche e le carezze delle prime file, e alla fine, tolti i microfoni e imbracciate le chitarre acustiche, la ninna nanna di Vanderlyle Crybaby Geeks a cappella col pubblico, rituale che nonostante le infinite ripetizioni colpisce sempre, dà una buona misura dell’intensità di un rapporto tra artista e spettatori che veramente pochi possono vantare.

a cura di Daniele Piccoli

Setlist
Father John Misty
Hollywood Forever Cemetery Sings / When You’re Smiling and Astride Me / Only Son of the Ladiesman / Nothing Good Ever Happens at the Goddamn Thirsty Crow / Chateau Lobby #4 (in C for Two Virgins) / Bored in the USA / Holy Shit / True Affection / I’m Writing a Novel / I Love You, Honeybear / The Ideal Husband
The National
Don’t Swallow the Cap / I Should Live in Salt / Sea of Love / Bloodbuzz Ohio / Sometimes I Don’t Think / The Day I Die / Hard to Find / Peggy-O (Grateful Dead) / Afraid of Everyone / Squalor Victoria / I Need My Girl / This Is the Last Time / Find A Way / The Lights / Slow Show / Pink Rabbits / England / Graceless / Fake Empire / About Today
Encore: Keep / Mr. November / Terrible Love / Vanderlyle Crybaby Geeks