Milano, 2 maggio 2019

Ron Gallo è diventato grande. Sia chiaro, il suo faccione è sempre pulitissimo. Se gli spari un superzoom su Instagram non gli trovi una ruga. Per non parlare dei suoi famigerati ricci. Sono ancora tutti in testa, mannaggia a lui. E poi c’è quel suo modo di vestire bizzarro, un po’ freak e un po’ fanciullesco, che gli leva almeno cinque anni dal groppone. Più che l’aspetto, però, a parlare sono la sua musica e soprattutto la sua nuova dimensione live.

Non è passato nemmeno un anno da quando il chitarrista di Philadelphia e la sua band si catapultarono per la prima volta al Circolo Magnolia. All’epoca Ron Gallo era in Italia per un mini tour di presentazione dell’Ep “Really Nice Guys”. Già allora era stata una bella botta, bisogna ammetterlo. Lo ricordo ancora. Il clima era mite, si suonava all’aperto e c’era già aria di vacanza (qui il nostro report del 26 giugno 2018).

In termini puramente metereologici, questo nuovo live di inizio maggio non può reggere il confronto. Questa sera tira vento, c’è un umido assassino. I prati dell’Idroscalo sono ricoperti da così tanti pioppini bianchi che sembra di stare in una puntata di Pollyanna. Dettagli per nulla interessanti, lo so, ma servono a introdurre l’atmosfera agrodolce che si respira sotto il palco (interno) del locale.

 

 

La parte del giullare, contro ogni aspettativa, la fa il batterista Dylan Sevey. Ride, scherza, lancia occhiatacce. Durante una pausa intona Per Te di Jovanotti (davvero negli Stati Uniti conoscono questa roba?) e sul finale imbraccia la chitarra accennando il riff di Heartbreaker dei Led Zeppelin. Un vero eroe. Ron Gallo gli fa da contraltare assumendo un tono austero e allucinato, altrettanto inatteso. Ma il piccolo Ron, dicevamo, è diventato grande. E allora eccolo lì, mentre svetta abbracciato alla sua Fender Jaguar, con lo sguardo fisso nel vuoto e i pantaloni troppo corti per coprirgli i calzettoni di spugna.

Come di consueto il trio attacca con Always Elsewhere, singolo dell’ultimo disco “Stardust Birthday Party”, ed è subito un’orgia garage-punk’n’roll. Love Supreme (Work Together), Do You Love Your Company?, Poor Traits of the Artist e Please Yourself sono fucilate dritte in faccia, eseguite una via l’altra, senza sosta. Nemmeno una parola dal palco, forse soltanto un “grazie” di circostanza. Il dubbio, a questo punto, viene naturale: e se fosse semplicemente incazzato? La platea se ne sbatte e si scalda sulle note di It’s All Gonna Be Ok e della vecchia Kill the Medicine Man. Il bassista Joe Bisirri sputa coretti irriverenti dietro i baffoni. Gallo, nel frattempo, lavora di fino alla chitarra con sorprendente naturalezza. È preciso, affilato e infetto al tempo stesso. Una goduria.

La chiusura è affidata ai due brani simbolo del ricciolino. Young Lady, You’re Scaring Me, che sembra uscita da un disco degli Yardbirds, e All the Punk are Domesticated, disincantata e grottesca quanto basta per mandarti a casa con le orecchie imbottite .

Prima di scomparire dietro il palco, il musicista americano si gira per l’ultima volta verso il pubblico e si sbraccia come per salutare un amico che si allontana in fondo alla strada. Ha regalato una prestazione perfetta, rabbiosa, da ometto pronto a fare il salto. Un minuto dopo è dietro il banchetto a vendere dischi e magliette. Perché d’accordo la maturità, ma il rock’n’roll è pur sempre un mestiere sporco.

Paolo