Palco piccolo, quello laterale. Per essere un lunedì sera a rischio pioggia, duecento spettatori sono un buon risultato. L’umidità del parco si fa sentire, ma quando le luci si accendono e i The Licks salgono sul palco, il parterre del Magnolia si scalda e incomincia la festa.

Dal backstage, come da copione, l’eroina di Hollywood spunta per ultima dimenandosi come un ossesso. Ha una tutina a stelle e strisce, bandana da biker e microfono in tinta. Un salto in alto degno del miglior Dee Dee Ramone ed esplode il primo proiettile sulle note di “Smash and grab”. Manna dal cielo per i fan adoranti, che alla vista di Juliette cacciano urletti per una notte da Oscar.

La trama è già scritta e la conosciamo a memoria: lei balla e si mette in posa, il pubblico canta e aggiusta il flash. Dopotutto è stata la stessa Lewis ad ammetterlo: “Mi rifaccio al mondo del wrestling e dei musical”. Ma a differenza degli stilemi tipici dell’intrattenimento all’americana, lo spettacolo dell’attrice-cantante è tutt’altro che una baracconata. Sotto quelle tutine attillate, c’è qualcosa di tremendamente vivo, sporco e genuino. C’è la storia di una donna che fin da ragazzina ha dovuto fare i conti con il successo e tutti i suoi rischi. Bad girl per eccellenza sul grande schermo, ragazza fragile e turbolenta nella vita di tutti i giorni. E così, superata la dipendenza dalle droghe già intorno ai vent’anni, il cinema dei grandi numeri ci ha restituito una rockstar di razza senza indennità di ritorno. “Pazza e maniaca”, come si è definita in un’intervista, ma libera di interpretare il ruolo di sé stessa nel film che ha sempre amato. Quello del rock’n’roll ruvido e senza fronzoli, in una scaletta che anche al Magnolia ripesca il meglio dai primi due album con i Licks.

I cavalli di battaglia ci sono (quasi) tutti: “Sticky honey”, “Purgatory blues”, “Killer”, una potentissima “Got love to kill” e finale scontato con “You’re speaking my language”. La band è in formissima, si diverte e sorprende. Soprattutto quando infila le cover di un paio di classici: “Proud Mary” dei Creedence e “Dirty deeds done dirt cheap” degli Ac/Dc. Quanto alla voce di Juliette, ribattezzata Giulietta nei cori da stadio intonati sotto il palco, il miglioramento è netto ed evidente. Le sue fonti di ispirazione, da Janis Joplin a Pj Harvey, sono molto lontane. Ma altrettanto distante è il giudizio che ne diede Manuel Agnelli dopo un duetto con Juliette al concerto del Primo Maggio nel 2005: “Juliette Lewis è l’Iggy Pop al femminile, solo che non ha la voce di Iggy Pop, né le canzoni di Iggy Pop. In compenso ha un bel culo”.

Paolo Ferrari