iopellegrino recensione

Ho conosciuto ioPellegrino grazie a un amico. Fu lui, qualche mese fa, a farmelo ascoltare per la prima volta mentre viaggiavamo in macchina verso le valli bergamasche. Fu un ascolto distratto, dall’altoparlante di un telefonino, con il mal d’auto in agguato. L’amico fece partire uno dei brani che di lì a poco sarebbero entrati nella tracklist di “Stand By Milano”, il nuovo Ep dell’artista pugliese. Per quel poco che riuscii a capire, le impressioni furono buone.

Da allora è trascorso qualche tempo. Ora il disco è disponibile per intero, con una foto di copertina un po’ naif scattata sotto il cavalcavia di viale Serra a Milano (almeno così mi sembra). Beh, copertina a parte, ascoltato in cuffia e senza tornanti a cui prestare attenzione, ioPellegrino ha confermato le sensazioni positive che provai quella prima volta.

ioPellegrino è al suo secondo lavoro nel giro di quattro anni. Purtroppo lo conoscono in pochi. Intorno a lui non si è mai creato l’hype di cui godono molti altri autori che insistono sul suo stesso universo sonoro. Una spiegazione non c’è, forse è soltanto una questione di fortuna. Perché in quanto a qualità, qui, ce n’è da vendere. ioPellegrino, ve lo assicuro, non ha nulla da invidiare a un qualsiasi Giorgio Poi. Le coordinate, infatti, sono quelle. Un cantautorato italiano “moderno”, da Max Gazzè a Colapesce, con lo sguardo rivolto a qualche mostro sacro mai dimenticato (dall’immancabile Battisti al meno scontato Branduardi).

“Stand By Milano” si compone di sei tracce dalle atmosfere malinconiche ma non troppo, suonate e arrangiate ottimamente con l’aiuto di musicisti amici. È un “racconto casalingo”, come lo ha definito lo stesso autore, scritto tra le mura di un appartamento durante il lockdown. Un approccio al quale siamo ormai abituati (quanti dischi frutto della pandemia abbiamo ascoltato ultimamente?), che in questo caso, però, si risolve con un piglio melò diverso dal solito. Dalla penna di IoPellegrino escono infatti resoconti di vita vissuta in gabbia, un po’ noiosa, certamente, ma con la quale giochicchiare a tempo perso.

Gli spazi descritti sono per lo più chiusi, angusti, domestici. Luoghi talmente silenziosi da rendere assordanti anche i suoni più lievi. La tovaglia stesa sul balcone che gocciola dopo il lavaggio, un battito di ali, la matita che solca il foglio (Rumori in una stanza). A volte, quando si è in due, non resta che parlare e fissarsi negli occhi. Oppure guardare il solito, ennesimo film. E lì, sul divano, mentre la città ti si appiccica addosso, dirsi “ti amo”. È il caso di Netflix, un brano dal titolo emblematico, che richiama vagamente Il posto più freddo de I Cani, pur sfuggendo al pessimismo cosmico del progetto romano.

Le quattro mura, però, diventano anche un punto di osservazione interessante sul mondo esterno. Un angolo privato in cui sognare e dal quale ripartire, spesso dalle esperienze più umili o degradanti. Il centro commerciale, la moda in vetrina (La domenica Milano), gli acquisti shock (Crema Abbronzante), il bar cinese di periferia, le spiagge d’agosto.

Insomma, “Stand By Milano” è un insieme di piccole “grandi” immagini. Offre uno sguardo provinciale su una metropoli ancora spaventata. Ne parla con apparente semplicità e uno stile familiare. Merita l’ascolto, sicuramente. Si spera anche dal vivo.

Paolo