Giovedì sera  (28 gennaio) al Lo-Fi eravamo al massimo in una cinquantina: poche persone in un piccolo club, ma la musica degli Electric Eye è stata grande come l’Universo.

Senza una band ad aprire per loro e senza dire niente a nessuno i quattro hipsters norvegesi sono saliti silenziosamente sul palco e hanno iniziato a produrre suoni che arrivavano dalle profondità del Cosmo. Piano piano la sala si è popolata e siamo rimasti tutti in attesa che qualcosa sconvolgesse questi eufonici droni.
Così infatti è successo: tastiera, batteria, basso e chitarra sono esplosi in vibrazioni funky risvegliando nervi e muscoli. Gli strumenti si confondevano, sommersi dal riverbero e dagli effetti rendendo quasi impossibile capire quale suono venisse prodotto da chi. La batteria e il basso creavano un tappeto ritmico memore delle pulsazioni cosmiche dei Can su cui si innestava la tastiera con accordi ripetuti ossessivamente come nei migliori Faust, e, al di sopra di questo magma incandescente, la chitarra descriveva frasi blues infarcendole di tremolo e wah-wah; il tutto veniva poi sparato a altissimi dalle casse e, dopo essersi infranto sulle pareti, arrivava alle nostre orecchie.

I brani sono fluidamente scivolati l’uno nell’altro, alternando pezzi vecchi ad altri provenienti dall’LP che uscirà il prossimo 5 febbraio per poi terminare con la lunga cavalcata di “Tangerine” ed implodere in un momento di etereo free rock spaziale.
Dopo i 50 minuti del concerto la band è uscita dicendo che ci si sarebbe visti poco dopo per una birra, lasciandoci lì ancora così stupiti e incantati dalla loro musica da essere incapaci di applaudire o chiedere bis.

Paolo Milianiello