Dente il nuovo disco

A 18 anni, Dente, mi era sembrato una delle cose più fighe che la musica italiana offrisse. La patente nuova di zecca e le prime ragazzine da stupire (anche se, a pensarci bene, fu proprio una di loro a farmelo scoprire). Giochi di parole ben mescolati, aspetto da dandy, aria snob a mascherare una timidezza di fondo e Irene come un’adolescente Beatrice da odi et amo. E ancora “Anice in bocca” (2006), “Non c’è due senza te” (2007), “L’amore non è bello” (2009), “Io tra di noi” (2011) e “Almanacco del giorno prima” (2014): un susseguirsi di attese romantiche da diffondere sui treni che traghettavano gli studenti nelle università nelle ore più assurde.

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Poi non so cosa sia successo. Qualcuno, me compreso, ha dato la colpa al disco Canzoni per metà” (2016), ma con il tempo mi son detto che sono semplicemente cresciuto, pur continuando a mantenere sul comodino “Favole per bambini molto stanchi”.

Sono passati dieci anni da tutto questo e il volto di Giuseppe Peveri è tornato a popolare i social, in maniera a volte fin troppo ossessiva, annunciando il ritorno di Dente. La reazione è rimasta in equilibrio tra lo slancio di ritornare adolescente e l’apatia del “nulla sarà come prima”. Ma Dente, questo, forse sembrava già saperlo e ha rassicurato tutti annunciando la sua rinascita musicale con qualcosa di diverso. E così tre singoli: Anche se non voglio, Adieu e Cose dell’altro mondo. Tanta tenerezza, ma non per Dente in sé. Piuttosto per gli anni ’90, quelli del Biagio Antonacci di Se io, se lei. Niente che faccia esultare il cuore, tanto meno la curiosità.

Ma “non posso giudicare un disco prima di averlo sentito tutto”, mi sono ripetuto come un mantra. Così mi sono ritrovato in mutande davanti allo specchio del bagno, alle 7.30, con aria sfatta e la schiuma del dentifricio a invadermi la bocca. Dov’è? Dov’è? Dov’è? Dov’è l’adolescente pronto a dare baci sulle stelle, saltando il compito di matematica? “Oh! È uscito il nuovo disco di Dente!”, mi dico. Niente. Entusiasmo non pervenuto. 

Un disco che farebbe incavolare anche la piccola Greta per il suo suono di plastica con riffettini da band liceale e lo slancio da bradipo. Ma non devo giudicare un disco se non l’ho ascoltato tutto almeno un paio di volte. Così vado avanti e Sarà la musica. Dai! Dai! Dai! Forse ci siamo… Il piede prende il ritmo e la strofa sembra avere una direzione interessante. Nulla. Neanche in questo caso.  

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E ancora brani che oscillano tra sonorità da Non è la Rai come Non te lo dico, a testi con picchi patetici da “l’unico difetto che hai sono io”. Facciamo così: chiudiamola qui e almeno cerchiamo di preservare il ricordo di tanta nostalgia per quello che è stato.

Renato Murri

 

 

Foto di copertina: Ilaria Magliocchetti Lombi