Ci sono sodalizi che, per quanto nati da una casualità assoluta, sembrano voluti insistentemente dal destino. Questo è il caso di Deap Lips, progetto crasi che unisce le forze dei Flaming Lips (nelle ovvie figure di Wayne Coyne e Steven Drozd) e delle Deap Vally (nelle altrettanto ovvie figure di Lindsey Troy e Julie Edwards). La casualità assoluta è data dal trovarsi nel posto giusto al momento giusto: Wayne Coyne va a sentire un concerto dei Wolfmother che le Deap Vally hanno il piacere di aprire. Coyne drizza le sue antenne aliene e viene stregato dalla loro energia, prima di allora incrociata solo in qualche inserzione sui social network, e a fine concerto corre a incontrarle al merch per scambiare quattro chiacchiere e soprattutto i numeri di telefono.

Nasce un rapporto epistolare, poi una canzone, poi un disco e poi chissà, forse un tour? Il destino interviene, perché entrambi i gruppi provengono da una lunga lista di collaborazioni: citare quelle dei Flaming Lips renderebbe questo articolo estenuante, delle Deap Vally basti dire che all’epoca erano in contatto con altri musicisti affermati per allestire un disco di featuring. Bingo!

Il risultato? Un album omonimo per Cooking Vinyl. Siamo lontani dal disco dell’anno, ma è sicuramente un esito interessante. I quattro interpreti costruiscono un flusso musicale di 40 minuti senza soluzione di continuità, come se fosse una lunga suite in cui convergono le personalità di ogni membro e i più svariati riferimenti musicali, senza che vada in direzioni diverse e si disperda nell’inconsistenza.

La line-up vede i Flaming Lips fare garbatamente un passo indietro rispetto alle Deap Vally, nella misura in cui tutte le parti cantate sono affidate alla Troy. Allo stesso modo, un certo risalto viene dato all’intreccio di chitarra e batteria tipico delle ragazze. Ai Flaming Lips, invece, l’onere di orchestrare il tutto e inserire nella produzione quel tocco di entropia che li rende meravigliosamente bizzarri, mescolando le carte e stravolgendo i canoni.

Nonostante questo, la propulsione collaborativa viene esaltata dal fondersi di due stili: brani rock’n’roll e strumentali psichedelici. Bella in particolare l’idea che ogni brano si evolva e scaturisca dal precedente. Si parte infatti dal proemio iniziale, Home Thru Hell, che presenta in modo scandito le forze in campo, dai riff poderosi e la batteria stomp, agli autotune di Coyne, per poi passare alla strumentale marziana di One Thousand Sisters With Aluminium Foil Calculators, che a sua volta si tramuta nella ninna nanna Shit Talkin. Quest’ultima introduce la melodicamente infallibile Hope Hell High e il rap n’ roll di Motherfuckers Got to Go, singoli fusi insieme in modo perfetto.

Segue un trittico di brani che assopisce tutto il flusso e dilata il tempo, formato da Love is a Mind Cotrol, Wandering Witches e The Pusher, resa popolare dagli Steppenwolf in “Easy Rider”. Si torna in superficie con il synth-pop di Not a Natural Man, che sveglia dal torpore e apre al finale di There is Know Right There is Know Wrong, una marcia funebre che conclude l’esperienza.

Un progetto piacevole e ben realizzato, che lascia fantasticare su un seguito e un tour insieme, anche se per il momento smentito dalle due band. Soprattutto è il più classico dei win-win: le Deap Vally trovano la collaborazione che stavano cercando per dare una svolta alla loro ispirazione, i Flaming Lips aggiungono un altro tassello all’infinito repertorio, senza accartocciarsi nella loro genialità, ma suonando più che mai dannatamente cool.

Andrea Fabbri