C’erano una volta i Big Star, una delle più grandi band di sempre, capostipiti del power pop, tre dischi strepitosi e una quantità incredibile di artisti che negli anni non hanno mancato di citarli come riferimento. Peccato che non se ne sia accorto praticamente nessuno, ai tempi. Peccato che negli anni 70, sovrastati dal proto metal e dalle lungaggini prog, quel pop cristallino, con un piede nel decennio precedente e la testa nelle melodie dei fab four, era destinato a soccombere, per di più a Memphis, città di Elvis e della black music.
E così è stato, causando traumi e fratture tra i due leader Alex Chilton e Chris Bell, tanto da portare quest’ultimo ad abbandonare la band dopo un solo disco. Bell, morto a 27 anni in un incidente stradale, è il protagonista della stupenda biografia di Rich Tupica, che ha il grande merito di raccontarci una figura tanto determinante, quanto dimenticata. Se il suo compare Chilton è riuscito in qualche modo ad avere in vita e negli anni successivi alcuni, seppur piccoli, riconoscimenti, Bell, per via di un incrociarsi di sfighe e cattive scelte, nonché ovviamente la dipartita neanche trentenne, è stato praticamente dimenticato, diventando di fatto un culto nel culto.
Tupica ha svolto un’opera di ricerca mastodontica, recuperando informazioni e documentazione che sarebbero altrimenti rimaste sepolte nei meandri delle leggende locali. Lo ha fatto parlando e soprattutto facendo parlare le persone che hanno vissuto con Bell, quelle che lo amavano e ancora la amano e che non si spiegano come un talento del genere non sia riuscito ad emergere. Dalle pagine di “There Was A Light” la figura di Chris esce salda, ben delineata, quasi rinfrancata e soprattutto mantiene, anche nella ricerca dettagliata, l’aura e il fascino del genio sofferto.
Ho avuto la fortuna di poter fare qualche domanda a Rich Tupica, che mi ha risposto in maniera entusiasta, confermando come la realizzazione di questo libro sia stata innanzitutto una questione di cuore.
Intervista a cura di Carlo Pinchetti
Il tuo è un libro romantico che parla di un personaggio molto romantico. Una cosa che si nota è l’assoluta vocazione di Chris Bell per il pop, qui nell’accezione più nobile (Beatles in primis). Credi che, a differenza della sua controparte Alex Chilton, avrebbe proseguito la sua vita senza rinnegare i Big Star, o sarebbe stato destinato anche lui a distaccarsene prima o poi?
È sempre difficile prevedere il futuro, ma Chris stava cercando di riformare i Big Star durante gli ultimi anni della sua vita. Nei giorni precedenti la sua morte gli album dei Big Star furono ristampati dalla EMI e anche il suo singolo I Am the Cosmos fu pubblicato dalla Car Records. Stava trovando nuova forza nella musica. So che scriveva lettere a Jody Stephens (batterista della band) e John Fry (produttore/manager), e spesso menzionava l’idea di rimettere insieme la band. È curioso, perché fu lui a lasciare il gruppo nel 1972, seppur, come sappiamo, sulla scia di un brutto esaurimento nervoso. Penso che nel momento in cui Chris fu in grado di guardare i Big Star da lontano, con distacco, si rese conto di quanto fossero speciali. David Bell, suo fratello, mi disse che Chris avrebbe amato tutta questa attenzione che la band ha ricevuto negli ultimi anni. Lo credo anch’io, sarebbe entusiasta di sapere che i fan di tutto il mondo finalmente apprezzano il suo lavoro.
Il rapporto con il fratello David, probabilmente la persona più vicina in assoluto a Chris, viene raccontato in maniera molto dolce e particolareggiata. Credi che, mentre Chris era in vita, David si fosse accorto realmente della genialità del fratello, oppure il suo sostegno era dettato principalmente dalla forza dell’amore?
David Bell fu da subito sbalordito dal talento di Chris. Da fratello maggiore di cinque anni rimase colpito da come Chris fosse in grado di esibirsi in così giovane età. A metà degli anni ’60 era lui ad accompagnare Chris ai suoi concerti, guardandolo quasi con soggezione. La sua prima vera band, The Jynx, si esibiva di fronte a un vasto pubblico in club e feste per adolescenti e David ne rimase impressionato, come successivamente dai progressi di Chris. La prima volta che ascoltò “# 1 Record” si mise a piangere per la commozione, era entusiasta del talento di suo fratello. Più tardi si trasferirono insieme a Londra e David si fece carico di tutte le spese perché credeva tantissimo in Chris e assistette ovviamente a tutti gli spettacoli solisti di Chris in Europa – vorrei tanto che avessero registrato almeno uno di quei concerti! Ma, come molte cose che coinvolgono Big Star, quei set sono un mistero. Nessuna registrazione.
Ho trovato molto affascinante la tua scelta di far parlare le persone attorno a Chris, con pochi tuoi interventi. Credo sia una scelta coraggiosa, io stesso all’inizio ero un po’ dubbioso, ma poi ho apprezzato molto la possibilità di sentirmi immerso nei rapporti di Chris, come nei migliori documentari. Perché questa scelta?
Sapevo che la storia dei Big Star era già stata raccontata da altri. Mentre io volevo che le persone che erano presenti mentre quella storia si faceva, parlassero con la loro voce. Ho pensato: perché inserirmi se posso farti leggere una testimonianza in prima persona? I miei interventi nelle introduzioni e transizioni dei capitoli, sono solo un modo per approfondire i fatti. Del resto ho fatto tonnellate di ricerche, tutte quelle date, orari e tutto il resto, ho dovuto mappare tutto da vecchi documenti, carte e lettere. Molto di questo materiale non era mai stato dettagliato in precedenza. Quando leggi le mie parole, è perché sto spiegando la storia, provando a fare la cronaca dei dettagli più piccoli.
Nel libro si parla, ovviamente, delle tante difficoltà della breve vita di Chris. Credi che le persone attorno a lui avessero chiara l’idea che la sua depressione fosse una vera malattia, oppure semplicemente ritenevano fosse una sorta di risposta negativa ai suoi fallimenti?
Le persone vicine a Chris sapevano che soffriva di depressione. Sapevano tutti che aveva attraversato alcuni periodi di malattia. L’idea che circola spesso che Chris fosse solo arrabbiato per il fallimento commerciale dei Big Star viene proposta da persone che non gli sono mai state vicine. Sì, Chris era comprensibilmente sconvolto dal fatto che la Stax non avesse gestito bene la distribuzione del disco, ma non era l’unica cosa che lo preoccupava.
Ho letto spesso dei confronti tra Chris e Nick Drake, per una sorta di comunanza data dalla genialità e dalla sofferenza. Credi che il paragone sia calzante?
In molti hanno spesso paragonato Chris e Nick. Lo capisco, hanno stati d’animo simili. Però penso che Chris fosse più “rock ‘n roll” di Nick, anche se Chris sapeva scrivere delle bellissime ballate folk. Direi che Chris e Nick si assomigliano soprattutto per l’approccio alla vita.
Ci sono delle parti della vita di Chris che hai scelto di omettere nella stesura finale del libro, aspetti che, seppur rilevanti, hai preferito evitare?
Non proprio. Ho tralasciato alcune cose che non potevo provare o confermare al 100%. Volevo riuscire a dormire la notte dopo la pubblicazione e avere storie discutibili nel libro mi avrebbe causato molta ansia. Non ho mai dimenticato, del resto, che stavo scrivendo del fratello di qualcuno. Volevo trattare bene la famiglia Bell e includere solo i fatti accertati. Certo, c’erano argomenti delicati, ma quelli nel libro ci sono. E, sì, a volte presento punti di vista contrastanti, ma li espongo e lascio decidere ai lettori. Che si tratti della sua sessualità o di qualsiasi altra cosa, ho scritto quello che mi hanno riferito le persone più vicine a lui: è tutto quello che potevo fare.
Una cosa che mi ha incuriosito, appunto, è questo pudore nell’affrontare il tema dibattuto della sessualità di Chris. Credi che sia semplicemente una forma di rispetto nei confronti di una persona che per tutta la vita era stata molto riservata sulle sue relazioni ed inclinazioni, oppure esiste una sorta di puritanesimo di fondo che ha impedito e impedisce ai protagonisti di raccontare la realtà?
Mentre era su questo pianeta Chris non ha mai “fatto coming out” pubblicamente. Stando così le cose, ho scelto di essere prudente, rimanendo fedele al mio piano: riferire ciò che la gente mi ha detto. Ci sono alcuni punti di vista contrastanti su questo tema, ma non abbiamo altro, dal momento che Chris non è più qui. Alcune persone dicono che era certamente omosessuale, alcune persone hanno detto di averne sentito parlare ma non erano sicure, e altre persone non avevano idea. Chris era un tipo riservato, non comunicava le sue questioni personali. La sua cerchia era piccola, quindi in pochi hanno sentito la storia completa direttamente da lui. Alcuni hanno offerto informazioni, altri comprensibilmente hanno preferito non parlare e io ho rispettato la loro richiesta di privacy.
Dalle parole dei protagonisti si fa fatica a cogliere il motivo reale dell’addio ai Big Star, o meglio, ce ne sono davvero molti. Ti sei fatto un’idea personale?
Chris e Alex Chilton erano due leader, penso che questo fosse il problema principale. C’era troppo talento nella stessa stanza. Inoltre Chris stava affrontando la sua battaglia contro la depressione. Non credo si possa identificare una sola causa. Il defunto John Fry, il loro produttore e proprietario degli Ardent Studios, disse che l’abbandono fu dettato da una “confluenza di circostanze”. Dopodiché, Alex Chilton ha preso il sopravvento ed è andato avanti un po’ più a lungo, ma i Big Star si sono poi comunque dispersi nel nulla. Fondamentalmente i Big Star si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Suonavano questo incredibile pop rock proprio quando nel mondo stava spuntando il prog, inoltre, erano a Memphis, città della musica soul. Si poteva già intuire dall’inizio che sarebbe andata male. Tuttavia, è incredibile come il catalogo dei Big Star ascoltato adesso suoni come se fosse stato appena registrato. Erano una band degli anni ’70 che non suonava anni ’70. Questo è un aspetto della loro genialità, erano a loro modo innovativi.
Sembrerà una banalità, ma è assurdo pensare che non esista nemmeno un filmato di Chris dal vivo, che sia da solo, o che sia con i Big Star. Nelle tue ricerche sei riuscito a trovare documenti inediti, che non speravi di poter recuperare?
Non ci sono filmati delle performance, ma sono riuscito a rintracciare rare foto dal vivo della formazione originale, e le ho incluse nel libro. Ho anche rintracciato una bobina del 1975 in cui Chris viene intervistato per 45 minuti, si trovava in una soffitta nel Regno Unito. Fortunatamente il giornalista che intervistò Chris per una fanzine chiamata “Omaha Rainbow” aveva conservato il nastro. L’ho poi offerto a Omnivore Recordings che l’ha inserito nel suo cofanetto di sei LP, “The Complete Chris Bell”. È stato un onore aiutare a preservare quell’audio, si sente Chris che parla apertamente della sua vita e dei Big Star. Sono stato anche entusiasta di poterlo condividere con la famiglia Bell, erano felicissimi di sentire la sua voce dopo tutti questi anni.
Hai altri libri in cantiere attualmente di cui vorresti darci un’anticipazione?
Sto lavorando a un progetto che coinvolge “My Own Private Idaho”, l’acclamato film di Gus Van Sant del 1991. Non sarà un libro, ma comunque un progetto divertente. Mi sono divertito a scovare vecchi aneddoti e documenti su quel film. Una storia di perdenti, ma a suo modo rivoluzionaria, proprio come i Big Star. Immagino di essere attratto da questi temi.
Mi racconto in una frase:
Campione d’istituto di ping pong in prima media, distrattamente laureato in Filosofia, papà, scrivo canzoni con la chitarra e le canto.
I miei tre locali preferiti per vedere musica:
Ink Club (Bergamo), Biko (Milano), Bloom (Mezzago)
Il primo disco che ho comprato:
Nirvana “Bleach”
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Nirvana “Bleach”
Una cosa di me che penso sia inutile ma ve lo racconto lo stesso:
A 14 anni sono stato selezionato per l’All Star Game del camp estivo di basket dell’Università di Syracuse, ma non ho potuto giocarlo perché avevo l’aereo di ritorno.