I Lemonheads sono una delle band indipendenti americane più influenti degli anni ’90. Si è formata a Boston, Massachusetts, nel 1986 da Evan Dando, Jesse Peretz e Ben Deily.
Dopo i primi lavori e i primi tour influenzati da una nota punk, ottengono un grande successo con l’album “It’s a Shame about Ray” che presenteranno interamente dal vivo per festeggiare il suo trentennale a Milano, giovedì 5 maggio al Biko di Milano. Abbiamo deciso di attivare una partnership con questo concerto, seguiteci e avremo tante sorprese per voi.
 
Biglietto 20€ + ddp + tess. ARCI (obbligatoria)
Prevendite disponibili dalle ore 11:00 di lunedì 28.02.2022 su DICE >> https://link.dice.fm/z53fd44f06bc
 
Intanto…
Perchè riscoprire It’s a Shame about Ray?
Lemonheads it's a Shame about Ray edizione speciale

 

“It’s a shame about a Ray” è la sintesi del  college rock, una foto perfetta della scena di Boston che include sia le ruvidezze alla Husker Du sia le pop ballad che saranno destinate a restare nella storia come Into Your ArmsIf I Could Talk I’d Tell You.  Parson e Bob Mould si intrecciano nelle influenze della band e ispirano una nuova forma di pop-rock mai sentita prima.

Pezzi come Rockin’ Stroll, Rudderless o Alison Is Starting To Happen sono emblematici in tal senso, con la loro furia ingabbiata in un pathos da cameretta. Gli apici dell’album sono però Confetti, che suona come il Neil Young di “Harvest” scortecciato dai fratelli Ramone, la title track con i suoi tenui acquerelli intimisti, l’avvolgente litania My Drug Buddy, intarsiata da un divino organo e dal controcanto femminile di Juliana e la canzone-da-falò-sulla-spiaggia Hannah & Gaby, con i suoi soffici aromi roots.

Dando conferiva un notevole valore aggiunto alle gemme di It’s a Shame About Ray con la sua voce calda e profonda, apparentemente distaccata mentre sgranava il rosario del buon college-rocker (innocue storie di noia, cuori spezzati e droga nei quartieri residenziali middle-class, e siparietti buoni per Friends come nella zuccherosa Kitchen), ma sempre viva e coinvolgente. Di questa arte si sono trovate tracce nell’ottimo – benché dai più ignorato –  debutto solista “Baby I’m Bored”, e in fondo, speriamo che qualche squisito confetto pop il bel Evan lo produca ancora. Nonostante, all’epoca, parteggiassimo per Eddie Vedder, le sue camicie stazzonate, i suoi capelli unti e i vari Jeremy.

Foto di copertina di Nicola Braga