«When my time finally comes / I’ll be ready / When my day is done / I’ll be ready / When the night darks the sun / I’ll be ready / Oh Lord / Ready to go home»: questo l’iniziale coro gospel della prima traccia di questo nuovo album dei Primal Scream, il primo in otto anni.

Tralasciato il fare luciferino del precedente “Chaosmosis”, la band scozzese torna a giocare con la dance, in modo tanto appassionato quanto forse non accadeva dai tempi indimenticabili del capolavoro “Screamadelica”. Ma se trentatré anni fa a mescolarsi agli inni gioiosi estrapolati dalla storia della black music era stata l’allora giovanissima techno, stavolta siamo più vicini alla disco music anni Settanta.

In più canzoni sembra che Bobby Gillespie e soci abbiano fatto un rewatch completo de “La febbre del sabato sera” (Ready to Go Home, Love Insurrection con il suo finale recitato in italiano (!), Innocent Money, Circus of Life). Ogni tanto, poi, i ritmi calano lasciando spazio a ballad di pregevole fattura (Heal Yourself, Melancholy Man, che gode di una chitarra solista davvero emozionante, False Flags).

Abbiamo poi il rock grezzo, in questo album presente in un unico brano, di Love Ain’t Enough, quello elettronico di Deep Dark Waters e la chitarra acustica di The Centre Cannot Hold. Profondo il lungo finale di Settler’s Blues, che ricorda mondi sacri già esplorati da personalità enormi quali Leonard Cohen o Nick Cave.

Sicuramente non il migliore lavoro dei nostri, né il più innovativo, ma comunque un’ottima conferma di una bellissima longevità.

Andrea Manenti