Sono ormai passati due anni dall’apertura di Volume, un negozio di dischi vecchia maniera, pieno zeppo di “perle” da scoprire, con tante nuove uscite, produzioni indipendenti quasi introvabili e vecchie glorie ben selezionate. Il negozio si trova a Milano, quartiere Lambrate, in via Privata Ettore Paladini al numero 8. Dietro il bancone non c’è un negoziante qualsiasi, ma Marco Monaci, che in molti di voi avranno già potuto apprezzare come chitarrista dei Fine Before You Came. Un musicista, dunque, pronto a dispensare consigli ai clienti come si faceva una volta. La sua è un’avventura bellissima, che avevamo voglia di raccontarvi. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con lui.
A cura di Andrea Frangi
Ciao Marco, ormai sono due anni che Volume è aperto. Come è stata la risposta della città? Puoi iniziare già a tirare qualche somma dopo una scelta che sotto alcuni aspetti è rischiosa?
Sì, proprio in questi giorni Volume compie due anni. La risposta è stata migliore di quello che mi aspettassi, anche se devo dire di non aver avuto grosse aspettative all’inizio. Probabilmente se ne avessi avute non avrei mai aperto. Ci vuole dell’incoscienza, credo, e io sono stato un filo incosciente. Ma fino a qui tutto bene.
Suoni la chitarra con I Fine Before You Came e hai avuto un passato anche tra cantine e vigneti se non vado errato. Ci racconti come sei arrivato fino a qua e perché passare dai vitigni ai dischi e alla musica?
Parlando con un amico appassionato di vini naturali, qualche tempo fa, è venuto fuori quanto le piccole produzioni vinicole somiglino, nell’attitudine, alle piccole produzioni musicali o editoriali. Tirature limitate, pubblico di nicchia appassionatissimo, ricerca della diversità a discapito dell’omologazione (del gusto così come dell’ascolto), una certa intransigenza e via dicendo. Che poi se ci pensi è un approccio che accomuna tutto ciò che ha a che fare con una dimensione artigianale della produzione, non solo con il vino o con la musica. Ecco, volendo trovare, magari un po’ forzatamente, un filo rosso che colleghi le esperienze del passato a quelle del presente e, spero, del futuro, sia a livello lavorativo che a livello di esperienza col gruppo, mi viene da dire che è proprio questa attitudine che ho sempre cercato di applicare a tutto ciò che faccio. E mi sono semplicemente allontanato dai contesti e dalle situazioni in cui non era possibile farlo.
Quali sono state le difficoltà più grandi e ci sono delle persone o dei fattori che adesso guardandoti indietro hai capito essere stati fondamentali per Volume?
La cosa più difficile è stata proprio decidere di buttarsi. Come quando sei in cima alla scogliera e ti devi tuffare. E io ho paurissima dei tuffi. Poi una volta che ti sei tuffato, se non ti fai malissimo e sai nuotare almeno un po’, le cose vengono da sé. Però devi muoverti. Ci è voluta tanta determinazione, un po’ di incoscienza e la consapevolezza/speranza di essere in grado di farlo. Il fatto di avere alle mie spalle un percorso che mi ha sempre visto coinvolto in attività che avessero a che fare con la musica mi ha dato sicurezza e mi ha aiutato, mi ha formato direi. Non sono partito da zero, ecco. Ho sentito di poterci provare, e ci ho provato, anche grazie a un sacco di amici che mi hanno dato una mano. Nessuno mi ha mai scoraggiato nonostante l’impresa potesse sembrare un po’ folle, anzi.
Volume non è solo un negozio di dischi, ma anche di graphic novel, libri, ed è anche uno spazio di eventi. Qual è l’idea che provi a seguire rispetto a tutto quello che succede all’interno di Volume. Quale è l’identità che connette tutti i puntini? Possiamo chiamarlo “spazio sociale”?
Spazio sociale è molto bello e ti ringrazio. Personalmente vedo VOLUME come un luogo in continuo divenire, tenuto in vita da un’idea ma soprattutto dalle persone che lo frequentano. Quindi sì, c’è e deve assolutamente esserci la dimensione sociale. Sono partito dalle mie passioni più grandi, la musica, i fumetti, i libri. Ci sarebbe anche il cinema, ma qua dentro un cinema non ci stava proprio. Quella dei concerti e delle presentazioni e tutto il resto è una cosa che è venuta contestualmente, un po’ da sé, all’inizio era solo abbozzata. L’idea è sempre stata quella di dare voce a tutta una serie di realtà italiane e internazionali che, mi viene da dire per fortuna, non trovano e nemmeno cercano spazio nei circuiti mainstream e che credo valga la pena conoscere. Ha a che fare con la divulgazione di un certo modo di fare le cose, che prende le distanze da una visione meramente economica di tutta la faccenda e cerca di riportarla a una dimensione umana. Queste realtà sono tantissime, e a mio avviso è giusto e bello dar loro lo spazio che meritano, anche per provare a cambiare un po’ le cose, per agire nel presente in modo diverso. Non si sta facendo nessuna rivoluzione, sia chiaro, semplicemente si cerca di proporre modalità alternative.
Pensando alle volte che vado a comprare dischi, le mie scelte a volte sono decise prima di mettere piede nel negozio. Ascolto il disco in streaming e mi piace così tanto da volerne avere una copia fisica. Altre volte invece si tratta di etichette indipendenti alle quali si è affezionati e quindi è anche un modo per sostenere un circuito che da solo farebbe fatica. Non credo si sia persa la dimensione di digging tra gli scaffali di un negozio, credo si sia spostata semplicemente tra i vari scaffali online. Credi ci sia invece ancora spazio, per quanto vedi anche succedere a Volume, di una situazione di scoperta in store?
Una volta funzionava così. Andavi nei negozi e compravi perché ti fidavi del proprietario, oppure perché ti facevi ispirare da una copertina o perché avevi letto qualcosa su qualche rivista specializzata. Se ti andava bene trovavi le colonnine con gli ascolti dei cd della settimana. Non c’erano alternative. Ora quella dimensione si è un po’ persa, ma esiste ancora, e a mio avviso il negozio fisico dovrebbe servire proprio a tenerla in vita. Altrimenti uno sta a casa e si ascolta spotify o si ordina il disco su amazon, no? Non riesco tanto bene a conciliare l’esistenza dei negozi fisici con l’abbandono della dimensione della scoperta, che relega la curiosità alla propria cameretta e allo schermo del proprio computer per poi, nel negozio, ricercare solo una qualche sorta di conferma. Tutti i negozi che si rispettino hanno almeno un giradischi per l’ascolto e un negoziante (si spera) disponibile e felice di dispensare consigli. Io da cliente ne ho sempre approfittato. E ho scoperto cose incredibili che mi hanno aperto dei mondi e che da solo difficilmente avrei scoperto.
Ti capita di consigliare? Ti è mai capitato di convincere qualcuno ad acquistare un disco di un artista che non conosceva prima di entrare da Volume?
Sì, ed è molto divertente. Una volta una ragazza è entrata e mi ha detto: “Io non ascolto musica ma vorrei cominciare”. Ecco, in quel caso è stata dura.
Volume è una miniera per chi cerca dischi di etichette indipendenti italiane. Se dovessi farci dei nomi di progetti sui quali scommettere e che stanno veramente facendo cose interessanti?
Le mie etichette preferite del momento? Oddio. Glitterbeat è tedesca e non ne sbaglia una, orientata ai suoni globali contemporanei. Holidays è di Milano ed è una garanzia ormai da anni per tutto ciò che riguarda la musica di ricerca. Music From Memory, olandese, e Dark Entries, americana, tirano fuori perle dimenticate (ma non solo) in continuazione. International Anthem, di Chicago, pubblica dischi prevalentemente di jazz e free jazz della scena di Chicago ed è, ovviamente, clamorosa. E poi Artetetra, di Potenza Picena, che è l’etichetta di cassette con l’approccio più libero, spontaneo, appassionato e contemporaneo che conosca. Fantastici. E ce ne sarebbero decine di altre.
Pensando a Londra ci sono alcuni paradisi del vinile come Sounds of the Universe, FlashBack Records o semplicemente Rough Trade, non semplicemente degli spazi fisici ma dei poli culturali che hanno aiutato lo sviluppo di identità musicali e culturali definite. Quali sono i negozi di dischi dove sei stato di cui ti sei innamorato maggiormente?
Zabrinskie Point a Milano mi ha formato quando ero ancora pischello, Sounds of the Universe e Rough Trade (quello originale piccolino a Portobello Road) a Londra, Academy Records a New York, Dusty Groove a Chicago, Rush Hour ad Amsterdam, Zudrangma Records a Bangkok.
Ormai sono quasi due anni dall’apertura di Volume, ci sono stati concerti, workshop, talk e incontri. La cosa più bella finora successa tra quelle mura e quella che vorresti far accadere?
Sembrerà scontato, ma la felicità che ho provato al Grand Opening di VOLUME a settembre del 2016 è difficilmente replicabile. Di cose belle ce ne son state tante, quest’anno una menzione specialissima va al concerto dei Sirom, gruppo sloveno pazzesco con un disco prodotto, appunto, da Glitterbeat.
A Milano non si può dire, guardando agli ultimi anni, che manchi il pubblico e gli artisti. Dal tuo punto di vista cosa vedi succedere e cosa servirebbe che magari manca a questa città?
Succedono tante cose, ci sono tante persone che si danno da fare per cercare di dar vita a una Milano diversa, con una concezione del tempo, degli spazi, della socialità distante da quelle dell’odiosa Milano da bere o da lavorare. È anche vero che la tendenza di Milano a inghiottire e far diventare di tendenza cose che fino all’altro ieri conoscevano in dieci è spesso fastidiosa e a volte l’impressione è quella che tutto sia in qualche modo monetizzabile e possa generare profitto. Di base io credo che dovremmo riprenderci il nostro spazio prima di tutto mentale, rilassarci di più, cercare più tempo per stare davvero con gli altri e per creare e fruire di proposte culturali autentiche. Perché a volte manca un bel po’ di autenticità, ecco. Io personalmente sono alla ricerca di più comunicazione e meno Comunicazione.
Mi viene in mente il libro di Nick Hornby, “High Fidelty”, dal quale poi ne hanno tratto un film con John Cusack. Il protagonista fa delle classifiche personali di dischi per ogni situazione in cui si imbatte nella vita, come se fossero un aiuto a capirsi o a far ordine nella sua vita complicata. Se ti chiedessi i 5 dischi per i quali hai deciso di fare della musica il tuo lavoro?
No dai questa è impossibile. Non sono capace. Ci penso.

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.