Un’unica data italiana per il tour acustico Hearts that strain di Jake Bugg: quella del 6 febbraio al centro della milanesità del Teatro Dal Verme.

È una di quelle sere dove piove a dirotto, fa freddo, sei col tuo pile antistupro a casa e di uscire non ne hai voglia neanche se Jake Gyllenhaal in persona viene a suonarti alla porta. Ti fai forza ed esci con quella tipica sensazione di essere riuscito a compire l’impresa più grande del mondo, che in confronto le dodici fatiche di Ercole sono spiccioli. Il karma però ti punisce per la tua incapacità di apprezzare le cose belle finché non le vivi e sotto il diluvio universale, invocando Noè, hai l’ombrello rotto e arrivi al Teatro con l’acqua incollata addosso come fosse una corazza pesante e i girini negli stivaletti. Così brontoli un po’ finché non calano le luci.

IL FASCINO BRITISH GUARISCE OGNI COSA

Una sedia di legno al centro del palco, luci soffuse e lui davanti a tutti solo in compagnia delle sue chitarre: così si è presentato il giovane cantante inglese dal look so british, creando un’atmosfera intima, scaldata dalla sua voce per un’ora e mezza. E allora pensi: “ma perché cavolo volevo starmene a casa?”.

Il concerto si apre sulle note basse di Hearts that strain, passando poi per le tonalità più folk di How soon the dawn.  I brani si susseguono uno dopo l’altro, incantando ed emozionando. Bugg canta sospeso tra i suoi tre album, giocando con i brani, tra un bicchiere e l’altro di acqua frizzante e un aggiornamento continuo sul risultato della sua squadra del cuore (il Notts County, battuto alla fine 8 a 1 dallo Swansea City). La sua voce sembra un soffio che vaga tra le poltrone fino a entrare in ognuno toccando una corda diversa.

Sa come rompere il ghiaccio, instaurando subito un rapporto col pubblico che scatena tutte le sue richiesta alla domanda del cantante «Quale canzone volete ascoltare?». Ed ecco allora che tocca a Seen it all (non prevista in scaletta) e Bigger lover. Il set in acustico regala un’atmosfera magica e personalmente lo preferisco, anche se l’effetto magia non è sempre scontato. La sua specificità sta nel dare la possibilità di vedere e vivere l’artista in una chiave differente e più intimista.

Il concerto si conclude sulle melodie dei suoi maggiori successi Two Fingers e Lightning Bolt e la promessa di tornare presto. Usciamo colmi di musica, fuori ancora piove. Dove è Jake Gyllenhaal ora?

 

Stefania Fausto