diiv-is-the-is-are-album-coverCi sono voluti almeno tre ascolti per poter definire Is the Is Are.
Il primo lascia indifferenti, come una sciacquata di bocca senza colluttorio. Il secondo conferma la paralisi emotiva. Il nulla cosmico. Il terzo, invece, è un’autentica epifania, una bordata in faccia di quelle che madonnina mia, ci voleva proprio. È come quando inizi a fumare: alla prima boccata non vorresti averlo mai fatto. Poi però non ne puoi più fare a meno. Dammi un’altra paglia amico, dammi un’altra Dopamine.

In questo secondo album su lunga durata, Zachary Cole Smith si fa diavolo e acqua santa in un colpo solo. Droga da ascoltare, miele da stoccare. Più accomodante del precedente Oshin (2012), ma non per questo più semplice e diretto. Anzi. Tracce come Mire (Grant’s song) e Dust, solo in apparenza cupe e dimesse, mostrano in realtà un lavorio maggiore rispetto al passato, sulla falsariga degli A Place to Bury Strangers più introspettivi.

Quando i toni si fanno languidi e distesi (Out of mind su tutte) riecheggiano in lontananza i Wild Nothing di Nocturne, mentre il giro di basso ossessivo di Under the sun sembra suonato da Claire Miskimmin dei Girls Names. I numi tutelari restano tuttavia i Cure di Seventeen Seconds (Yr not far, Is the is are), citati per tutta la durata dell’album, fra spigolature dark wave, drittoni post-punk e un impasto melmoso di stampo shoegaze.

C’è spazio anche per il ballo di coppia con la fidanzata, modella e singer Sky Ferreira (Blue boredom), apparsa di recente anche nell’ultimo singolo dei Primal Scream. Peccato non poterli ascoltare dal vivo. È di queste ore, infatti, la decisione di annullare il tour europeo (data milanese compresa) per “urgenti problemi di salute”.

Paolo Ferrari