Prima della data milanese al Serraglio (sold-out) del loro tour “Marassi”, abbiamo scambiato due chiacchere con Maurizio Carucci, cantante degli Ex-Otago, per sapere qualcosa in più su questo nuovo disco, sulla leggerezza, su Genova e sull’essere cresciuti. Si è parlato anche di futuro e sogni dentro e… fuori il cassetto.
Avete appena iniziato il Marassi tour, prima Roma e poi ieri Bologna al Covo. Le prime sensazioni come sono?
Abbiamo fatto due sold out, con un sacco di gente che è rimasta fuori. Quindi siamo molto contenti. Le prime sensazioni sono super-positive e ce le godiamo tutte. Ci dispiace per la gente che rimane fuori ma torneremo.
“Completamente sold out” anche voi potremmo dire?
No noi direi…modestamente sold out (ride ndr).
Avete chiamato questo disco Marassi e più volte avete sottolineato come a Genova, città di Tenco e De André, si loda giustamente il passato ma si rischia di rimanerci aggrappati, senza guardare avanti. Anche ascoltando alcuni vostri brani come i “Giovani d’oggi”, mi sembra che sia un discorso che va al di là della musica giusto. Cosa significa per voi guardare avanti?
Guardare avanti per noi significa ipotizzare un presente diverso dal passato. Quindi provare a inforcare delle strade, delle tracce e dei sentieri nuovi che portino altrove. C’è chi lo ha fatto in passato e lo ha fatto meglio di noi: De André e compagnia bella ad esempio, dal quale poi noi abbiamo tratto e traiamo spesso comunque ispirazione. Però abbiamo anche una gran voglia di pensare a oggi perché Genova è una città che tende a essere conservatrice, molto ancorata al passato. E’ una città che difficilmente riconosce i suoi figli se non quando non può farne a meno. E anche la decisione di chiamare simpaticamente l’album Marassi ha senso perché è un luogo mai narrato che comunque fa parte di Genova e a noi piacerebbe parlare di quella Genova che rimane sempre all’oscuro dei riflettori.
Cosa ami e cosa odi di Genova?
Amo di Genova la misticanza, il meticciato, c’è un groviglio di etnie, architetture, di ambienti geografici, di profumi… Odio di Genova il fatto di essere conservatrice, di essere immobile. C’è una brutta tendenza tra le persone a volte (poi però non voglio dipingere Genova come una schifezza perché poi noi la amiamo follemente!): a Genova spesso se qualcuno fa qualcosa di bello agli altri rode, come fossero invidiosi; a noi questa cosa fa soffrire.
Con questo disco suonate più smaccatamente pop. Come è stato lavorare con Matteo Cantaluppi?
Io credo gli Ex Otago non siano mai stati particolarmente attenti al suono. Gli Ex-Otago penso possano essere riconosciuti per la visione della musica, per un approccio musicale, per la loro visione del mondo, per i loro testi. Matteo Cantaluppi ci è servito molto perché ha colmato questo nostro “storico” grande vuoto. Credo che ogni band abbia dei forti limiti e noi abbiamo fatto il più presto possibile per riconoscerli e per cercare di colmarli. Per cui Matteo Cantaluppi in questo senso è stato geniale. Lo abbiamo voluto noi con forza ma è stato tutto estremamente semplice e facile: ci è venuto in mente un nome: Matteo Cantalupi! E lo abbiamo trovato subito entusiasta di lavorare con noi. Poi ci siamo trovati benissimo con lui che è un grande estimatore degli Otago e viceversa.
Per il vostro album precedente, In Capo al Mondo, vi siete rifugiati in una casetta di montagna per una settimana, e da lì è nato un disco con delle venature più folk, quest’album, che appare più colorato, invece in che luogo è nato?
Marassi è nata in una casetta a nelle alture di Marassi dove abbiamo una parte semi-interrata dove non davamo fastidio e anche questo luogo ha influito moltissimo sul disco.
I vostri album, nei testi e anche nello spirito, sono ritratti di una generazione, che è cresciuta nel tempo anche. Siamo abituati a sentirvi postivi, con una specie di sana leggerezza che mette di buon umore. Però in questo album scopriamo che gli Otaghi sono anche qualcos’altro… è come se ci fosse a volte un po’ di amarezza che affiora…
Noi abbiamo sempre usato (e abusato) della leggerezza e con questo disco ci siamo resi conto che mischiare la leggerezza del sound, una leggerezza estetica-sonora con una profondità testuale-lirica funzionava. È evidente che una persona di 35 anni che scrive i testi ha avuto abbastanza tempo per accorgersi che la vita non è solo rose e fiori. Allora se si è un po’ onesti si farebbe bene a parlarne. E così abbiamo fatto. Abbiamo scritto di rose e fiori ma anche di cose molto meno gradevoli, ma sempre con una chiave estremamente leggera, perché crediamo nella leggerezza come possibilità. Gli Ex-Otago non sappiamo neanche noi cosa sono esattamente, perché viviamo profondamente nel cambiamento e stiamo già cambiando. Se scrivessimo un disco oggi sarebbe profondamente diverso da Marassi, ma per noi è una cosa estremamente positiva perché siamo vivi, ci sentiamo come delle spugne! (Adesso ad esempio sto ascoltando molto hip-hop per la prima volta nella mia vita credo, e mi garba molto!) Insomma diciamo che raccontare il presente non è solo raccontare di colori accesi, ma anche di colori opachi.
Nel video del vostro singolo “Quando sono con te” ci sono tante coppie che si baciano, limonano. Come vi è venuta questa idea?
L’idea è venuta in modo molto semplice: ci siamo accorti che qualsiasi cosa si facesse a Marassi aveva una forza incredibile per via di una questioni di contrasti, di chimica strana. Essendo una canzone di amore ci siamo detti “Cosa facciamo?” e abbiamo pensato “Facciamo in modo che ci sia il bacio come protagonista”. Noi abbiamo semplicemente messo delle persone genuinamente innamorate in questo luogo e il video si è fatto da solo. L’Idea è stata quella di porre l’amore in questo luogo e tutto il resto è andato da sé. A volte quando le cose fluiscono in modo cosi naturale, veloce e semplice, vuol dire che sta succedendo qualcosa di bello.
Ma guardando anche a quello che sta succedendo con la musica italiana “indipendente” (anche se non vi piace essere definiti come tali), penso all’apprezzamento che stanno avendo artisti emergenti come Motta, Calcutta, i The Giornalisti… Secondo voi, cosa sta succedendo, come reputate tutti questi apprezzamenti per una scena musicale che prima era un po’ più nascosta?
Sta succedendo che per fortuna il sistema delle grandi radio e dei potentati musicali si è reso conto che c’è del buono e per cui si stanno abbattendo un po’ alcune barriere, di genere, di etichetta. E questa è una cosa bellissima perché il pop credo che per la prima volta dopo tanti anni può vantare un’aria veramente più fresca, autentica e potente. Credo che il cambiamento sia già avvenuto, ma dal momento che pezzi come “Quando sono conte”, “Cinghiali incazzati”, ma anche “Oroscopo” o “Completamente” etc. passano in radio 2, 3 volte al giorno, significa che alle orecchie delle persone piacciono. Poi sta anche a noi scrivere dei dischi in futuro all’altezza e fare dei live potenti e densi in questi mesi. Però qualcosa di irreversibile è già avvenuto. Se saremo abbastanza bravi da farlo vivere e durare nel temo ne godremo tutti.
Siete stati definiti “Jovanottiani” e il Jova vi ha anche fatto i complimenti via Twitter. Ma il sogno nel cassetto degli Ex-Otago qual è?
Sogni nel cassetto non ne abbiamo, lì abbiamo tutti sul tavolo tra il posacenere, il computer e le altre cose. Quindi vogliamo semplicemente continuare ad avere la possibilità di raccontarci e scoprirci attraverso altre canzoni. Diciamo che gli Ex-Otago sono una famiglia e una bellissima possibilità che ci piacerebbe che finisca il più tardi possibile. Quello che vorremmo fare è scrivere canzoni che ci fanno vibrare, che risuonano dentro di noi e portarle in giro. Certo non ti nascondo che lavorare con Jovanotti sarebbe molto figo: lui già ci conosceva, ci ha fatto i complimenti e non escludo che possa accadere qualcosa… chissà?! Ma anche idolatrare e mitizzare i personaggi, trovare i leader è una cosa tutta italiana che ci stufa. Jovanotti è uno che ha fatto delle cose molto fighe ma è un Cristo come noi, per cui spero che potrà accadere in maniera molto semplice un incontro. E poi gli incontri se accadono è una cosa bellissima, se non accadono non bisogna dispiacersi, vuol dire che le strade non erano abbastanza vicine.
Maurizio ti devo fare l’ultima domanda: ma le camicie dove le comprate?
Devo confidarti che per le camicie è un po’ un problema! Abbiamo un po’ un problema in generale che è il nostro outfit: ci siamo un po’ rotti di girare così. Come si può immaginare non siamo persone fighette, con le nostre robine, che amiamo i selfie con le tipe, proprio no… Però forse un pochino dovremmo diventarlo, anche attraverso i vestiti credo si comunicano delle cose. E noi francamente su questo siamo veramente dei caproni! Per le camicie io ad esempio l’ultima volta le ho comprate al mercato degli extracomunitari di Genova dove vendono la roba per terra, dove c’è una marea di cose bellissime, incredibili, camicie a 2 euro, giacche a 3 euro! …E noi fondamentalmente ci vestiamo un po’ cosi. Noi siamo gente di questa pasta, non credo cambieremo, ma onestamente le camicie ci hanno rotto le palle. Io sto già ragionando su qualche canotta di basket 5XL e sotto niente!
Svolta hip-hop quindi?
Guarda, ci sarà una bella ospitata stasera, però non posso dirti chi salirà sul palco, però se si parla di hip hop insomma… (Poi sul palco è salito Jake la Furia per cantare insieme agli Ex-Otago “Gli occhi della luna”).
Andrea Frangi

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.