Roma, classe 1997, al secolo Filippo Uttinacci. In questa generazione che a parlare di caffè e sigarette potrebbe andare avanti all’infinito, in questa ossessiva descrizione dei messaggi, delle assenze, di quella ragazza a cui avremmo voluto dire tutto, di sbornie e passaparola, Fulminacci si inserisce perfettamente. Piccolo ritratto veritiero di una generazione che si rifugia nel provincialismo, rappresentante di una scena romana che assume quei tratti caratteristi tra Tommaso Paradiso, Motta e Calcutta, che non sono per niente più quelli della metropoli meneghina, nè di nessun’altra metropoli.

É come se a Roma, probabilmente più che altrove, si sia creato un flusso di cantautori che si agglomerano nei baretti, ai concertini, nelle sfrecciate in motorino. Compagnie di amici come quelle della provincia, la provincia degli amori quotidiani che bruciano e dei problemi che non riguardano la Lazio o la Roma. In sintesi, un’enorme città in cui ci si sente comunque lontano da tutto, come se fuori, dagli amici, Tommaso incazzato, fuori da noi, non ci sia poi molto altro.

Una periferia non inflazionata. Questa è “La Vita Veramente” secondo Fulminacci. Un album che lo stesso artista ha definito schizofrenico, ed è vero che le influenze variano dal cantautorato à la Jannacci agli andamenti à la Canova, e persino qualche accenno, anche estetico, alla nuova scena lo-fi. Ci sono gli strazi à la Calcutta e anche qualcosa di Silvestri. C’è tanta roba, abbastanza per poter affermare che Fulminacci è un giovanissimo cantautore in realtà unico nel suo genere (ed è un periodo abbastanza difficile per esserlo), che abbiamo visto conquistare con naturalezza il palco della collinetta del Mi Ami Festival, come se fosse la cosa più facile del mondo, come se Fulminacci fosse in realtà un giovane vecchio, come lo definì a suo tempo “Rolling Stone”, che in vite precedenti se n’era già mangiati parecchi di palchi.

Un giovanissimo vecchio, che porta con la sua chitarra acustica i risvolti popolari, periferici e provinciali, di un genere che la scena it-pop ha reso sempre più mainstream. Un ottimo esordio già maturo, che non manca di osare di cinismo e un po’ di snobismo tipico di qualcuno a cui in fondo, comunque vadano le cose, interessa solo suonare le proprie canzoni. Testardo, unico. Fulminacci è la rivincita di tutti i timidoni che nel giro giusto non ci vogliono entrare per davvero. Per chi cercava qualcosa da canticchiare, per chi non ne può più di malinconia indie, per chi stava cercando della musica nuova da condividere con i propri genitori.

Morgana Grancia