Milano, 12 gennaio 2018

È la sera del crash test di “Infedele”. L’ultimo album di Colapesce, dopo una serie di intime date in acustico nei negozi di dischi, deve dimostrare di reggere l’urto del palco, quello vero. Per ospitare l’evento non poteva esistere luogo più adatto: Santeria Social Club, mecca dell’indie rock italiano contemporaneo.

Varco la soglia del locale e il tavolo al centro della sala ne è la conferma. Vasco Brondi, Francesco Bianconi e Rachele Bastrenghi sono seduti l’uno di fianco all’altra, sorseggiano vino e chiacchierano tra di loro in mezzo ad altre persone. Chissà a che nome era riservato il tavolo. Forse “ Indie Italiano x10”. Forse “Le Luci Baustelle x10”. Forse non serve nemmeno riservare, un posto per loro si trova sempre.

Sono abbastanza irrequieto. Vorrei entrare subito nella speranza di beccare un ultimo spezzone del live di Carlo Barbagallo, l’opening act della serata, ma ormai è sicuramente troppo tardi. Ripiego sul bar. Prendo un gin tonic. Cocktail alla mano, mi metto in fila per entrare nella sala del live. Sulle pareti torreggiano le iniziali della Santeria, squadrate, riprodotte con grandi piastrelle nere su sfondo bianco. In cima al soffitto altissimo ci sono degli apparecchi simili a dei droni. Penso facciano parte dell’impianto luci ma, sinceramente, mi incutono un po’ di timore. Ritrovo gli amici con i quali sono arrivato e faccio un giro per la sala, che piano piano si sta riempiendo.

La musica di sottofondo si interrompe di colpo. Un brano dalle tinte orientali, una registrazione, rompe il silenzio. Il tempo dell’attesa è terminato: Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, sta per salire sul palco. Arriva la band, il pubblico la accoglie con gran clamore. Mario Conte si piazza dietro il synth e fa partire la base di Pantalica. Sale Colapesce. Il clamore si trasforma in un boato di approvazione. In testa ha qualcosa ma, all’inizio, fatico a capire cosa sia. Inizia a cantare. Fasci di luce lo colpiscono ad intervalli regolari e riesco a mettere a fuoco il suo copricapo: è un’enorme testa di pesce spada fatta di cartapesta. Il pezzo prende una piega tribale, Lorenzo afferra e percuote un campanaccio. Al centro del palcoscenico il sassofonista si esibisce in un solo free jazz movimentato quanto la luce stroboscopica che si riflette sul suo sax baritono. Fine del pezzo. Scroscio di applausi e grida di approvazione. Io ho la pelle d’oca.

Mario Conti, che si è occupato dell’arrangiamento del disco insieme a Iosonouncane, si sposta alle tastiere. Attacca con gli accordi di Ti Attraverso che, non so per quale motivo, mi fanno pensare ai Verdena. Mi accorgo che, in linea con il concept del disco, Colapesce e i membri della sua backing band indossano un vestito nero da parroco con il classico collarino bianco ecclasiastico. Il ritornello di Ti Attraverso si schianta sulla folla e satura le orecchie con la potenza dei decibel dell’impianto. C’è qualcosa che non va, i volumi sono troppo alti, qualcosa è sicuramente stato regolato male. I suoni si impastano l’uno con l’altro e risultano perfino fastidiosi. Accolgo con sollievo la fine del brano.

Segue Vasco de Gama, altro brano tratto da “Infedele”. La base elettronica e cadenzata e distensiva. Lorenzo si accompagna alla chitarra acustica. C’è un’atmosfera sognante, trascendentale. Un intermezzo di gran classe, posizionato in scaletta in modo da permettere al pubblico di prendere il fiato prima di un altro singolone. Parte Totale. Salgono grida di approvazione dalla folla. L’impianto fischia. Il volume continua ad essere insopportabilmente alto e i pezzi ne risentono in qualità. Mi sembra di cogliere dell’imbarazzo sul viso di Lorenzo e spero che il fonico riesca presto a risolvere. Dopo una prima parte dedicata all’ultimo disco, è giunta l’ora del momento amarcord. Trittico di classici: Satellite, Reale ed Egomostro. Normale amministrazione. Il pubblico è giustamente in visibilio, le hit rimangono tali e non smettono mai di funzionare, soprattutto per un fan.

Nell’aria c’è la giusta dose di esaltazione per ripartire con la danzereccia Maometto a Milano. Lorenzo si scatena sul palco e anche io muovo i fianchi a tempo. Applausi. La backing band esce di scena e rimangono solo Colapesce e Mario Conte. Parte il synth e Lorenzo canta Segnali di Vita di Battiato. Poco tempo fa, durante il Linecheck Festival, si erano già esibiti insieme presentando in toto “La Voce del Padrone”, uno dei capolavori del grande artista siciliano. C’è da dire che questo brano esalta particolarmente le doti canore di Colapesce, che ostenta una grande preparazione tecnica e un timbro che è davvero molto simile a quello di Battiato.

Mi avvicino al bar, è il momento di un amaro. Lorenzo suona Decadenza e Panna, dolce ballata tratta da “Infedele”, il pubblico pende dalle sue labbra. Segue La decadenza di un amore: i toni rimangono sommessi, ma l’intensità cresce. I telefoni si levano al cielo e mi immagino che, chiunque in sala abbia qualcosa da dire ad una persona a cui tiene particolarmente, sceglierà sicuramente di comunicarglielo con le parole di questo pezzo. C’è Sottocoperta, ma io ho bisogno di fumare. Esco. Rientro e mi accorgo che i musicisti della scena indie milanese fanno capannello non lontano dal bancone del bar e ascoltano con attenzione. Sul palco risuona Compleanno, brano dalla spiccata vena elettronica. Non rimango particolarmente colpito, perdo la concentrazione, la mia mente si distacca dalla musica. Mi accorgo che Lorenzo si è cambiato e indossa una giacca di pelle che sulle spalle ha cucito un fulmine al led, che si illumina ad intermittenza. Il brano finisce. Soliti applausi, torno alla realtà.

Sospesi. Colapesce canta tenendo saldo il microfono tra le due mani, la testa leggermente inclinata. Il pubblico ondeggia rapito, quasi sospeso, appunto. Finisce l’incantesimo. Lorenzo e la sua band, tra inchini e saluti, abbandonano il palco, lasciando il pubblico ancora frastornato. Tutti attendono un encore. Si levano dalla folla i fischi per richiamare gli artisti sul palco. Eccoli di nuovo. Lorenzo imbraccia la chitarra e parte sulle note di uno dei suoi brani più famosi ed apprezzati: Restiamo in Casa. Il pubblico lo accompagna a gran voce. È un crescendo di giubilo e approvazione. Le scelte per la chiusura dello spettacolo sono ricadute su tre brani molto celebri appartenenti a album precedente dalla fama super consolidata. Restiamo in Casa, Maledetti Italiani, S’illumina. Scelte comprensibili, ma non totalmente condivisibili, che mi lasciano un po’ spiazzato. Avrei preferito che nell’encore fosse presente almeno un pezzo di “Infedele” e che Lorenzo non contasse solo sul passato per i botti finali di questo spettacolo di fuochi di artificio. È una piccola sfumatura a cui presto sempre particolare attenzione. Quasi come se fosse un ago rilevatore della fiducia che un artista ripone nel suo prodotto. È vero che siamo pur sempre alla prima data e che il nuovo disco non avuto il tempo necessario per attecchire, ma lasciarlo fuori dalla scaletta del “Best Of” che l’encore rappresenta è pur sempre un errore. Anche perché “Infedele”, a mio parere, non ha motivo di nutrire alcun tipo di timore reverenziale nei confronti dei suoi predecessori, è un disco completo, complesso e orecchiabile al tempo stesso, scritto da un grande artista e rifinito da due mostri sacri della musica contemporanea italiana. Ed è un disco che, dal vivo. Al netto dei problemi tecnici, fa la sua porca figura.

Il resto del pubblico, comunque, non sembra minimamente porsi il problema e dimostra grande fedeltà cantando e sciorinando a memoria ogni parola che esce dalla bocca di Lorenzo. Ovazione generale. La band si riunisce al centro del palcoscenico e raccoglie tutto l’affetto dei fan ricambiando con vistosi inchini e sordi applausi. La musica si spenge e la folla si muove compatta verso l’uscita, bisbigliando commenti e impressioni a caldo. Io saluto un paio di amici, fumo un’altra sigaretta per poi dirigermi in macchina verso casa. Tra un semaforo e l’altro, a radio spenta, penso che, in definitiva, il collaudo sia stato superato. Forse con quache ammaccatura e qualche sintomatica rifinitura da rividere, ma è stato sicuramente superato.

Alessandro Franchi