Il sapore estivo e fresco di frappè alla fragola in vero stile anni 90 pervade il palato non appena si preme play su E che Dio ce la mandi buona, terzo disco di 13 tracce della friulana Angelica Lubian. Un suophpThumb_generated_thumbnailno pulito, sostenuto e semplice è reso ricco dalla voce altrettanto scandita della cantautrice di Udine, che fa della canzonetta scanzonata il suo cavallo – a dondolo – di battaglia. Ritmi ispirati a un incalzante punk, divertenti e sostenuti – addirittura quasi disco revival in Per la cronaca – nascondono una profondità di testo e un’abilità nel gioco e nell’intarsio di parole invidiabile da molti.
“Non è vero che il bianco si contamina con il nero” dice la Lubian: e infatti come artista resta fedele alla sua linea un po’ retrò e, rendendosi colorata, coinvolgente e distinguibile.
E così resta costantemente in tutto l’album, e non importa se le sue corde vocali siano impegnate in un più classicheggiante pop di Fermo restando, in brani romantici come A kiss (is what I miss) o Mi volevo per te, in una provocatoria Che ci faccio?, ironica critica della femminilità contemporanea tra moda, botox e futilità, oppure nel sarcasmo di Senza arte né parte. Rimarcabile anche Monna Lisa, che in chiusura si scatena su soli di chitarra elettrica e percussioni dal richiamo quasi africano, tributo a colui che ha segnato – e si sente- la sua produzione artistica: Ivan Graziani. La voce viene incorniciata da battenti ritmi funky e trascinanti, che fanno scuotere spalle e testa a tempo ma che non permettono mai allo spirito di scadere nel mero divertimento demenziale. La canzone che dà il titolo all’album, La marcia su Roma e L’oroscopo del giorno, i pezzi probabilmente più riusciti, sono esempi calzanti di questa fusione di serio e faceto, di una denuncia sociale con il sorriso e il naso rosso, di uno schiaffo morale dato con un guanto giallo a pois.
Si scrive, si suona, e che Dio ce la mandi buona. Si canta si ama, è così che funziona. E per Angelica funziona molto bene.
Giulia Zanichelli