Torna agli Arcimboldi di Milano Yann Tiersen, compositore bretone noto ai più per la colonna sonora del film Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain, il capolavoro di Jeunet che ha già compiuto 20 anni. Abbandonando la forma classica canzone, Tiersenn da anni si dedica a comporre musica ambient utilizzando il piano come fondamenta di melodie per poi sbizzarrirsi con synth, campionatori e macchine indiavolate.   Faccio una breve ma doverosa premessa, non sono avvezzo alla musica di concetto, all’intellighenzia elettronica, ai pianisti, ai compositori etc…ma vi assicuro che si avessi saputo anzitempo che cosa avrei visto questa sera, non avrei esitato ad assicurarmi un posto nelle prime file.

La serata inizia alle 21.15, quando sul palco appare Emilie QuinQuis, classe 1990, precedente conosciuta come Tiny Feet, compositrice elettronica e moglie dell’headliner, a lei l’onere di aprire le danze con mezz’ora di musica. La musicista presenta il suo recente lavoro Seim edito per Mute a marzo. Pochi ingredienti e ben calibrati, una voce tendente al lirico, un synth modulare, una tastiera e una manciata di effetti a sporcare i suoni quando meno ce lo si aspetta. 

Tocca attendere 20 minuti abbondanti per far spegnere nuovamente le luci della sala ed iniziare il viaggio con il Signor Tiersenn che si presenta sul palco con il fido Jens L Thompson anch’esso munito di Synth e apparecchiature elettroniche.  da subito inizio a uno spettacolo pirotecnico di suoni e visual a dir poco vertiginosi.  Gli artisti suonano tra le quinte del teatro e un velo bianco che li separa dal pubblico, artificio scenico che permetterà visual tridimensionali incantevoli, ipnotici, a tratti quasi stancanti per gli occhi. 

Essendo un concerto di recupero, l’intero set rispecchia Kerber il penultimo lavoro del compositore, il disco più elettronico della carriera dell’artista, un concept album basato su un area di un isola bretone e i suoi paese. Si parte dal villaggio di  “Kerlann” e si prosegue sulla rotta di  “Ker Yegu” dove a farla da padrona è un’elettronica sperimentale che accarezza il rave mantenndo l’eleganza vellutata di un teatro e del suo bon ton. “Poull Bojer“ è una raffica vorticosa che non lascia respiro, poi dopo qualche minuto sentiamo una voce robotica su “Ar Maner Kozh”, un mantra con il vocoder che dai toni horror, un contrasto che affascina e destabilizza come il ghiaccio salato di Cildo Meilers.

E’ l’artista che  si rivela nel modo più mistico e inquietante che potessimo immaginare, ne prendiamo atto: attoniti, rapiti, avvolti nella meraviglia che ci accompagnerà per ancora mezz’ora abbondamente. 

 

Si scivola eccome nel tunnel di “Ker al Loch” dove tutto termina con un tonfo sordo e ci  si ferma per qualche instate, il tempo di guardarsi intorno quasi spaesati, dove Yann  ringrazia il suo pubblico paziente e accenna un gesto con la mano, assetato di mostrarsi come essere umano e non solo come il mostro-sonoro che sta divorando l’ambiente.  Un rapido sguardo all’orologio e ci si accorge che un’ora si è polverizzata tra i rumori che infrangono melodie come lo stesso impeto delle onde dell’oceano. Musica inarrestabile dalle mani di un genio curioso sempre in cerca della bellezza.  Si accendono le luci e continuiamo a muoverci a carponi verso la fine di un sogno che ci lascia dentro gli occhi una tempesta di illusioni meravigliose.

E staremo attenti a non socchiudere gli occhi per evitare di inciamparci dentro di nuovo, sarebbe sì incantevole ma altrettanto spaventoso.