Un certo William diceva: “L’inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui”. Quando ci avviciniamo al circolo Ohibò di Milano finalmente lasciamo alle nostre spalle una nebbia leggera e diafana, sicuri di ritrovarla intatta al termine della nostra serata. Non ci par vero di trovarne una all’interno del locale ben più densa, fittamente oscura.
Alle 22.00, precise precise, le prime note dei milanesi The Singer is dead erigono un possente quanto invalicabile wall of sound che ci spiazza; la band vuole mettere alla prova il pubblico e questo risponde convinto con urla di approvazione; non c’è tempo per dilatazioni ambientali, le chitarre scorrono come rotative che stampano caratteri musicali a propulsione. Poi, l’imprevisto: la struttura possente e le lunghe suite attirano colui che chiameremo semplicemente “il dottore”.
Ora, il “dottore” segue il concerto con interesse, muove le mani, le braccia e ancheggia come se di fronte avessimo i Doors o i Greatful Dead. Al termine dell’esecuzione ci lascia e noi, smarriti, dovremo cavarcela da soli. Speriamo che torni per i Valerian.
Arrivano i Malkovic e qui il canto, a differenza della morte annunciata dalla band precedente, si palesa; la voce fantasmatica di Alberto dei Verdena è un modello, forse involontario; l’interpretazione intensa come il ritmo incessante delle canzoni non ci abbandonano quando ormai siamo pronti per accogliere il gruppo atteso.
Chi scrive, di Reggio Emilia, ha un moto di assoluto e spregevole campanilismo di fronte ai correggesi Valerian Swing, ma tant’è. Il trio ha percorso una lunga strada dagli esordi e la maturità acquisita dopo una manciata di album e molti live ci pone davanti una band rocciosa, consapevole del proprio percorso e intenta a compiere un ulteriore salto in avanti in quella che, fino ad oggi, si può considerare una carriera in progressiva ascesa. L’album uscito di recente, “Nights”, le cui canzoni costituiscono la gran parte del concerto, alza di molto l’asticella della texture chitarristica; fuori il basso, dentro la seconda chitarra e un synth. Nelle melodie questo avvicendamento strumentale è evidente.
Un poderoso progressive/post-metal riempie la sala e si balla, a momenti. Sulle note delle notevoli Two Ships, Four Horses e Five Walls, autentiche vette della serata milanese, riappare uno strano figuro, che abbiamo già visto, ma dove? Sì, è proprio lui: è “il dottore”, il nostro woodstockiano amico che adesso, ancor più di prima, scodella due-tre mosse da far impallidire l’intero locale. Lo seguiamo ammirati e quando ci lascia, per la seconda volta, capiamo che il concerto volge davvero al termine. Non prima di aver ripescato qualche gemma da “Aurora”, vero e proprio album spartiacque del gruppo e A Sailor lost around the earth.
La citazione iniziale è tratta da “La tempesta” di Shakespeare e voi, sicuramente, vi chiederete cosa diamine c’entri con l’oggetto dell’articolo. Quando la tempesta finisce, nella nebbia il ritorno è un atto solitario che immalinconisce. Se i diavoli vogliono, noi ci prenotiamo per tornare. Dall’inferno ambrosiano è tutto.
Alberto Scuderi
Nome e Cognome: Alberto Scuderi
Mi racconto in una frase: “Il matrimonio altro non è che quella odiosa ipoteca posta sui coglioni” Giuseppe Rovani. La frase è fortina e un conservatore come me non la condivide appieno. Tuttavia, l’avrei voluta scrivere per primo.
I miei 3 locali preferiti per vedere Musica: Paradise (Amsterdam), Ohibo (Milano), The Craftsman Jazz Club (Reggio Emilia)
Il primo disco che ho comprato: Rock is Dead (Singolo) Marilyn Manson
Il primo disco che avrei voluto comprare: Jagged Little Pill di Alanis Morisette
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Ciascuno ha le sue: penso che il sapone di Marsiglia sia veramente insopportabile. Per le proprie mani, per l’ambiente in cui si spande come veleno, per la società che lo produce e per tutti coloro che si ritrovano a venderlo trasversalmente al pensionato come allo studente fuori sede sfigato che non conosce lozioni altre da applicare alle proprie falangi. Ci vorrebbe una grande petizione popolare: ah, se fossimo negli anni ’70!