In un’epoca in cui chiunque può spacciarsi per genio ed essere pure creduto, i concetti di poliedricità e trasversalità applicati all’arte rischiano seriamente di non essere apprezzati a dovere. Se è vero che tutto è possibile, non è altrettanto vero che ogni tentativo di esprimersi attraverso le arti raggiunga i risultati sperati. Riuscire a muoversi con disinvoltura tra immagini e suoni, per esempio, non è affatto scontato. Non è un processo lineare, ma richiede un bagaglio tecnico, oltre che culturale ed esperienziale, che non è da tutti. È qualcosa che in fin dei conti ha a che fare con la sensibilità stessa dell’artista, con la sua urgenza comunicativa e anche, perché no, con la sua onestà intellettuale. Abbiamo affrontato questo e altri argomenti con due artisti contemporanei che hanno fatto della versalità e della multimedialità le loro principali caratteristiche.
Il primo si chiama Guido Bisagni, ma è conosciuto nel mondo delle arti raffiguartive con un nome composto di soli numeri: 108. Nato ad Alessandria 41 anni fa, 108 ha iniziato con la street art in diversi paesi europei ed è approdato alla pittura di grandi e misteriose figure che invadono gli spazi pubblici. Oltre ad essere «uno dei primi e maggiori esponenti del post-graffitismo astratto a livello nazionale ed europeo», 108 è anche un musicista nelle vesti di Larva 108, ma anche di Corpoparassita. Per chi fosse interessato ad approfondire, 108 è in mostra a Milano con la personale “Sogno lucido” fino al 27 marzo alla galleria “Antonio Colombo Arte Contemporanea” di via Solferino 44.

108, Porte Inverno, 2018, tecnica mista su tela
Il secondo si chiama Maurizio Pieracini, in arte Dottor Pira, ed è il creatore dei Fumetti della Gleba, il più longevo webcomic italiano. È autore e critico televisivo e ha realizzato video e grafiche per gruppi come Uochi Toki ed Elio e le Storie Tese. Sul suo canale youtube potete trovare le animazioni e le compilation da lui stesso selezionate per la sua serie Super Relax.

Dottor Pira
108 e Dottor Pira hanno suonato insieme in due band, i Bhopal e gli Aquarius Omega. Il primo è un gruppo dark-crust nato tra il 2005 e il 2006 e attivo fino al 2015, con una formazione che è cambiata nel tempo: membri dei Jilted, Drunkards, ex Insult, Eyeless, Bigots e di “un gruppo storico black metal di cui non si può scrivere il nome perchè dicono porti sfortuna” (sic!). Il suono era ispirato alla scena crust post apocalittica, dai Tragedy agli Hellshock a tutta la scena svedese, con influenze black metal. Nel 2010 era uscito un loro Lp, “Age of Darkness”. Aquarius Omega è invece un progetto psichedelico-ambient composto proprio dal duo 108 e Dr.Pira. L’estetica e la musica sono ispirate all’archeo-ufologia, in particolar modo ai documentari degli anni ’70 sull’argomento. I concerti sono “strutturati come rituali di adduzione, per consentire al pubblico di entrare in contatto con la parte della loro mente che è pronta al contatto con gli alieni”. Nel 2012 è uscito uno split LP con Ottaven per Sonic Belligeranza.
INTERVISTA
Avete iniziato prima con l’arte che è poi diventata il vostro lavoro (la street art, il fumetto) o con quella che è rimasta solo un hobby (la musica)?
108: Ho iniziato prima con quella che poi è diventata il mio lavoro, nel senso che ho iniziato a disegnare appena sono riuscito a tenere una matita in mano, ma penso valga per quasi tutte le persone. Credo che a meno che uno non abbia i genitori musicisti sia una cosa più immediata.
Dr Pira: Ho iniziato prima con i fumetti e adesso faccio questo per lavoro. Quando ho iniziato a fare fumetti non avrei mai pensato che sarebbe stato possibile dedicarci tutto il tempo. La questione non era tanto se fossi diventato un fumettista (nel senso di professione riconosciuta), ma se avessi avuto la possibilità di fare fumetti per la maggior parte del tempo senza dover fare altre attività di sostentamento nel frattempo. Ora che lo faccio mi sembra normale, ma non lo do per scontato.
Come mai la musica è rimasta un hobby?
108: Penso che le arti visive siano un qualcosa di più diretto… Ma non sono del tutto sicuro di questa risposta, nel senso che poi ho sempre suonato in parallelo. Inoltre come per la pittura, ho sempre amato fare musica (o produrre suoni) in modo istintivo, senza basi accademiche, dal punk al noise, quindi anche in quel caso si è sempre trattato di qualcosa di molto diretto. Probabilmente ci sono ragioni più bassamente commerciali, fare musica è difficile da fare da soli (soprattutto in passato) ed è molto più difficile venderla senza fare cose commerciali.
Dr Pira: Anni fa facevo il grafico come lavoro, mentre suonavo e facevo fumetti per hobby. Guadagnavo bene come grafico, ma ci dedicavo il minor tempo possibile. Quando avevo finito di fare il lavoro – consideravo “lavoro” quello che era remunerato – mi dedicavo agli hobby, che chiamavo così solo perchè non erano pagati. Poi mi hanno fatto notare che mettevo molto più tempo e impegno in quelli che erano gli “hobby”, ma che non consideravo neanche l’eventualità che qualcuno mi pagasse per farli. Ero abituato all’idea che quel “qualcuno che paga” fosse una struttura di qualche tipo che finanziava il tempo che dedicavo fisicamente al lavoro. Non avevo mai pensato che delle persone avrebbero pagato volentieri per il prodotto dei miei hobby. Bastava trasformare quel tempo in un prodotto finito e avere quel tanto di sicurezza che ti porta a dire: “Ragazzi, ho fatto questo, mi sembra bello, lo volete?”. Non è un passaggio così scontato, e quando l’ho fatto mi sono accorto che tutto quel tempo passato dietro agli hobby, se vogliamo vederlo dalla prospettiva economica, era un ottimo investimento. È ingannevole pensarlo in termini di fama, perché la fama in sé non ha alcuna utilità se non quella di confortare un basso senso di autostima – me ne sono accorto a posteriori su me stesso, cerco la fama nei periodi in cui sono meno sicuro di me. Ora mi torna meglio pensare che col tempo ho costruito un bar e un giro di gente a cui piace passare il tempo lì. Anche a me piace passare il tempo lì: questa è l’idea di lavoro che ho adesso. È molto diverso dal ricevere dei soldi per passare del tempo a lavorare. Anche se non sembra, in un caso sei il capo e nell’altro sei un dipendente. Se sei il capo ovviamente hai più rischi, e se sbagli è colpa tua. Ma chi non vorrebbe essere il capo?
La vostra poetica è la stessa usata nelle due forme o ci sono differenze sostanziali?
108: Io ho sempre considerato le due cose come un tutt’uno. Sono modi per esprimersi, la pittura, i suoni, le parole, la fotografia, il video. Che una abbia il sopravvento sull’altra penso sia più un fattore di circostanze. Per me è essenzialmente un bisogno di fare qualcosa, di creare delle cose in primo luogo e poi un disperato bisogno di comunicare il mio mondo interiore all’esterno in un modo più profondo e fuori dagli schemi sociali ordinari. Le arti sono dei mezzi per fare questo.
Dr Pira: Non riesco più a fare le stesse distinzioni tra hobby e lavoro che facevo un tempo. In questo momento potrei considerare la musica come un hobby, ad esempio, ma ci dedico molto meno tempo perché mi sono accorto che molte cose che esprimevo lì ora le ho portate nel campo dei fumetti. Per esempio, mi sono accorto che passo un sacco di tempo ad ascoltare musica mentre disegno o scrivo, e mi dà più idee la musica di quante me ne dia leggere altri fumetti. Un mio amico musicista mi ha detto che lui passa molto poco tempo ad ascoltare musica di altri, ed è naturale, perché passa più tempo a farla e quindi ad ascoltare la sua. Lo stesso capita a me, ma ciò non toglie che si possa anche elaborare quegli input e farli diventare qualcos’altro. Per esempio, qualche tempo fa ho fatto una serie sul relax: per disegnarla, ascoltavo generi di musica che per me erano rilassanti, ma non erano nè ambient nè new age – generi specificamente pensati per rilassarsi. Certi pezzi psych/prog, hip hop o dub mi davano un senso di relax diverso, e ognuno è legato ad un’estetica e a un immaginario diversi. Questo mi ha dato un sacco di spunti per scrivere le storie e dopo ho deciso banalmente di pubblicare le stesse compilation che mi ero fatto per disegnare. Le ho messe su youtube e già che c’ero ci ho abbinato delle piccole animazioni. Ne è uscita una cosa nuova che ho fatto per sfizio, o per hobby, ma che è stata fondamentale per me come ricerca per il libro, e piacevole per chi stava seguendo la serie.

Dottor Pira
Vi capita di usare gli strumenti “retorici” tipici di una forma d’arte all’interno dell’altra? Se sì, potete fare degli esempi?
108: Mmm… la domanda mi rimane difficile da comprendere, nel senso ho capito cosa vuoi dire, ma non mi è chiaro il punto. Penso sia una di quelle poche cose per cui qualcuno che non fa arte, ma ne parla, come i famosi “critici”, potrebbe essere utile. Non saprei proprio. Comunque ci provo: se dovessi trovare una linea che accomuna le diverse arti di cui mi occupo sono la semplicità e la forza di base. Mi piace che ci sia una melodia semplice e potente che ti entra subito, ti commuove nell’anima e non se ne va più. Allo stesso modo, nella pittura, una forma semplice e fortissima può essere un cerchio per esempio. Un’altra cosa è la presenza di imperfezioni che mettano in risalto la mano dell’artista, il materiale, lo strumento usato e il contesto. Suonando può essere la non perfetta padronanza dello strumento e il trasporto mentre si suona, lo strumento vecchio, la mancanza di un’amplificazione perfetta, la registrazione economica. Questo rende il tutto più potente, più vero. Un esempio è “Transilvanian Hunger” dei Darkthrone, tutto è stato fatto in economia ma è la perfezione del genere, irraggiungibile anche dai più grandi produttori del mondo. L’equivalente in pittura è la carta rovinata mantre si dipinge, il tratto imperfetto a causa del gesto o magari del pennello caricato velocemente, ancora una volta per la foga, o meglio ancora a causa del rullo vecchio e per la fretta di finire. La texture della superficie imperfetta… Suonare e dipingere sono la stessa cosa per me.
Dr Pira: Nel senso di quello che ti stavo dicendo poco fa, si. Molta musica viene composta con l’intento (conscio o meno) di ricreare o fissare uno stato d’animo. Spesso la utilizzo per entrare in quel mood. Molto spesso i fumetti che mi vengono meglio sono un tentativo di rimettere quella sensazione su carta attraverso una storia. Sembra un intento pretenzioso, ma in realtà è molto semplice. Per esempio, è strano dirlo ma trovo molto allegro il grindcore, mi fa venire in mente degli uomini di Neanderthal che corrono con delle clave, ed è un’immagine liberatoria per me. Quando scrivo fumetti con quell’idea in testa vengono fuori delle storie che mi risultano “allegre” e “liberatorie”, e ho messo tra virgolette gli aggettivi perché non sono precisi. Se bastasse scrivere degli aggettivi non avrei bisogno di scrivere storie ispirandomi al grindcore.
C’è una qualche forma d’espressione che non avete ancora esplorato e vi interesserebbe approfondire? Se sì, con quali obiettivi? Meramente personali o anche professionali?
108: Purtroppo tutto quello che faccio è fatto con l’obbiettivo di avere una qualche soddisfazione personale o di comunicare qualcosa, ma sempre pensando a fare la cosa migliore possibile in quel momento. Dico purtroppo perché non guardare mai ad un riscontro professionale o commerciale rende poi tutto più difficile, nel senso che essendo un lavoro e non essendo io un nobile devo poi fare i conti con il fatto che questo sia diventato il mio lavoro. Ma resta una cosa sacra ed è difficile fare compromessi. In ogni caso, anche per la parte hobbistica, fare le cose in questo modo rende tutto magico ancora dopo decine di anni, ma allo stesso tempo difficile. Anche solo fare un live diventa complicato.
Dr Pira: Ho già esplorato l’animazione e i videogiochi, ma ancora non abbastanza. Devo trovare l’ambito giusto per farlo a modo mio. Il che comprende avere tempo per fare esperimenti senza doverli per forza monetizzare: ora li sto facendo nei periodi economicamente tranquilli che cerco di ritagliarmi. È un interesse sia professionale che personale, da qualche anno le due cose coincidono.

108
Ci sono altre attività della vostra vita (sport, cucina, sesso, religione, vita associativa) che sentite di utilizzare al pari dell’arte per realizzarvi in modo simile all’arte stessa oppure c’è una qualche divisione per compartimenti tra arte e vita, cioè delle aree di sovrapposizione ma anche delle aree che non si toccano mai?
108: Tutto quello che faccio, lo faccio in quel modo, infatti come dico sempre non riesco mai a dividere la vita dal mio lavoro o dall’arte come vogliamo dire. Un esempio è per esempio la cucina. Ultimamente ho meno tempo per dedicarmici e il fatto di vivere in un paese che dà un’importanza così grande al cibo, specialmente a livello campanilistico, mi ha fatto passare di molto l’entusiasmo. Però a parte questo, quando cucino lo faccio nello stesso modo. Non prendo mai le misure in modo preciso, vado d’istinto, cambio e cerco di migliorare sempre e alla fine quello che deve essere soddisfatto sono io. In oltre non uso nessun ingrediente di origine animale, negli anni ho eliminato tutto. In qualche modo, per avvicinarmi anche alla religione, penso che tutto quello che faccio debba essere sacro, a mio modo ovviamente. Quindi se di mezzo c’è della sofferenza anche indiretta, mi sento in qualche modo colpevole. Vale per le arti, vale per la cucina e per ogni altra cosa. Tutto quello che faccio ha un lato trascendentale, me ne sono accorto negli anni, cerco di trovare una via di fuga dalla realtà di tutti i giorni dipingendo, suonando, cucinando… Penso che anche il sesso dovrebbe avere lo stesso significato, e in effetti se uno ci pensa lo ha, ma è molto difficile liberarsi da certe impostazioni sociali, comunque il senso è quello. A volte mi rendo conto che anche andare a nuotare o a correre diventa una forma di meditazione, sicuramente lo ha camminare sulle montagne. D’altra parte è molto difficile essere equilibrati. L’artista per me è come un medium, assorbe e filtra tutto quello che gli sta intorno, lo vive al massimo e poi lo trasforma, per me è il ruolo che aveva lo stregone o lo sciamano nelle società “primitive”. Se uno è un artista vero ovviamente. Un ruolo delicato, sempre più difficile da comprendere nelle società moderne e materialiste, che per questo hanno gravissimi problemi alla base. Il punto è che vivendo tutto profondamente, è impossibile mantenersi distaccati o essere ragionevoli ed è facile perdere l’equilibrio appunto.
Dr Pira: Un tempo avevo la necessità di fare sport per sfogare le frustrazioni che mi derivavano dal lavoro di grafico. Lavoravo meno tempo possibile per avere la possibilità di andare fortissimo in bicicletta o in piscina. Nei periodi noiosi, andavo a fare i salti al parco con una bici da trial e spesso mi facevo male. Erano un utilizzo più compensativo dello sport, al tempo non l’avrei ammesso ma ora mi rendo conto che era così. Ora faccio meno sport, ma mi è utile per avere idee nuove, molte trovate utili per storie o disegni mi vengono mentre faccio movimento, specialmente cose faticose o avventurose che mi tirano fuori dallo stato protetto del tavolo da disegno. Anche la vita sociale è fondamentale, gran parte delle storie mi sono venute in mente raccontandole o scambiando idee con amici. Certe volte è imbarazzante, perchè mi sembra di rubare le idee ad altri. Ma quelle idee non sarebbero venute fuori se non parlando, quindi è un contributo comune. Sarebbe giusto dire che gran parte dei miei fumetti sono opere collettive a cui aggiungo una parte di contributo nel lanciare lo spunto ed elaborarlo, e poi tutto il lavoro successivo di rielaborarlo e scriverlo. Anche la cucina e il sesso mi mettono dell’umore giusto, è inutile negarlo.
Che spazio date ai vostri hobby “artistici” come fruitori, creatori, o in qualsiasi altro ruolo?
108: Allora se intendi dal punto di vista del fruitore la musica ha un’importanza basilare. Ho sempre ascoltato e ascolto sempre musica. La musica per certi versi è molto più potente delle arti visive, è una vera e proprio droga. A volte perdo ore a cercare la musica giusta per quel lavoro o per quel momento. Un pezzo mi aiuta, un altro mi irrita e mi rende impossibile fare qualsiasi cosa. Ci sono pochi generi e tanti pezzi che mi irritano così tanto che non avrebbe senso se la musica non fosse così potente, almeno per me. Come dicevo sono sempre alla ricerca di una porta per uscire da questa realtà. Da creatore è diverso ma simile, credo che il massimo sia quando entri in quel momento ipnotico in cui quello che fai diventa perfetto e ti prende completamente corpo e spirito. È il massimo. Purtroppo non è una cosa che si riesce a fare sempre, ci vuole un posto, il momento giusto.
Dr Pira: Non so dirti precisamente, ma ho la sensazione che mi sia utile come ricerca. E dicendola così mi pare di ricalcare uno dei clichè dell’ artista che si dà un tono, ma per essere onesto mi pare che sia così. Tutte le storie, e gran parte gli articoli più saggistici che scrivo ogni tanto, mi fanno capire qualcosa di me stesso quando le leggo dopo qualche mese. Non mi piace fare spiegoni nelle storie, o partire con un’idea già fatta e finita, mi annoia nel momento stesso in cui lo faccio, quindi mi metto nelle condizioni di andare “a casaccio” (oppure “a flusso di coscienza”, se vogliamo stare nel cliché dell’artista pretenzioso). Il risultato è molto simile all’attività onirica, scrivo cose che non capisco al momento, come spesso faccio sogni che quando mi sveglio non so che senso abbiano. Ma dopo un po’ di tempo, pensandoci, ritrovo l’elaborazione di pensieri che stavo facendo in quel momento e che non erano ancora emersi a livello conscio. È molto interessante da fare ma funziona solo se non si analizza troppo il risultato, altrimenti si finisce per razionalizzarlo e censurarlo, togliendone l’impatto istintivo. Grazie a questo genere di attività ho esplorato delle stanze che non sapevo di avere dentro nella mia testa. Più tempo ci dedico, più posso trovare posti diversi e raccontarli alla gente. Una volta sul retro di un libro di UFO ho letto la biografia sommaria dell’autore: “Scrittore, ricercatore archeologo a Cambridge ed esploratore psichico”. Avrei voluto che fosse la mia.
Intervista a cura di Alessandro Scotti
Introduzione di Paolo Ferrari

Mi racconto in una frase: vengo dal Piemonte del Sud
Il primo disco che ho comprato: “New Picnic Time” dei Pere Ubu è il primo disco che ho comprato e che mi ha segnato. Non è il primo in assoluto ma facciamo finta di sì.
Il primo disco che avrei voluto comprare: qualcosa dei Pink Floyd, non ricordo cosa però.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: la foto della famiglia di mia madre è in un museo, mia madre è quella in fasce.