Nei mesi in cui il mondo accademico osannava Florida Project, dall’altra parte del pianeta fioriva un film parallelo tinto di dolore e non detto. Non stupisce che “Un affare di famiglia”, di Kore’eda Hirokazu abbia vinto la Palma D’oro a Cannes, in un panorama dove il cinema orientale è uno dei pochi con una poetica autoriale, che muove vibrazioni emotive con storie sospese tra poesia e concretezza.
Dopo il delicatissimo “Our little sister”, il regista i muove ancora tra le trame di una famiglia non tradizionale, spingendosi oltre i confini della struttura sociale di questo concetto. Svelando poco a poco le trame che tessono il racconto, Kore’eda Hirokazu affresca una parte del proprio paese poco attenta alle marginalità, ma molto concentrata sull’avere. Il regista sembra chiederci quale sia il legame che unisce una famiglia; giuridico, legale, affettivo? Tra una disperata ricerca di amore e rispetto, i membri di un gruppo di bambini ed adulti non visti si scelgono in una vicinanza non obbligata, ma necessaria. Lo sguardo del regista si mette all’altezza dei piccoli, vittime di grandi ingenui, forse immaturi o spinti dall’ingenuo sogno di bruciare nel calore che unisce solitudini e cuori a metà.
Inseguendo i protagonisti lungo la periferia di Tokyo, Kore’eda Hirokazu si trova su una spiaggia, in una delle scene più evocative del film, come in altri suoi lavori, dove l’acqua libera da ogni peccato, purificatrice, materna unisce e sigilla il legame dei familiari sotto lo sguardo delle due donne generatici.
Ma i bambini ci guardano e l’inganno dell’amore forzato ( e tradito) può portare ad altra violenza, come se il regista volesse dirci che i figli dovrebbero scegliere come propri genitori chi si è meritato tale ruolo, con l’amore e il rispetto, perché, come diceva Sarte ” io sono ciò che faccio e ciò che gli altri hanno fatto di me”.
Critica sociale a parte, tra assistenti sociali poco scrupolosi, giustizia normativa e poco lungimirante, “Un affare di famiglia” commuove, trascina verso il calore e le tempeste estive, fino al ghiaccio che congela e scopre ogni sentimento e si attacca alla pelle e al cuore come una poesia amara che si nutre di nostalgia.
Il Demente Colombo

Nome e Cognome: Demente Colombo
Mi racconto in una frase: strizzacervelli con un cuore di cinema
I miei 3 locali cinema preferiti: Anteo, Apollo, Silvio Pellico di Saronno.
Il primo disco che ho comprato: Cross Road (Bon Jovi)
Il primo disco che avrei voluto comprare: Tapestry (Carole King)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Quando sono triste guardo Zoolander e il mondo mi sorride.