Chiudete gli occhi e fingete per un attimo di svegliarvi all’inizio degli anni Ottanta. Estraete questo disco dalla sua custodia, posizionate la puntina e fatelo partire. Dieci canzoni bellissime fra punk, reggae, ballad e rock’n’roll inebrieranno i vostri sensi.

Grazie all’ottima produzione di Stephen Street (già al lavoro con The Smiths e New Order, ma anche Blur, Cranberries e Babyshambles), “Hate for Sale” regala una nuova immagine ai Pretenders. Un’immagine naturalmente legata agli Eighties, ma anche al revival dei Seventies tornati di moda a partire dagli anni ’90.

Il gruppo anglo-americano, qui al suo undicesimo album, ci regala una delle migliori uscite discografiche di questo infausto 2020. Partendo dalla copertina semplice (ma super rock) e arrivando ovviamente alla musica, la band capitanata da Chrissie Hynde si erge a paladina di un certo modo sanguigno e puro di suonare, buttar fuori rumori e parole, sangue e baci, sudore e grugniti. E lo fa dannatamente bene.

Non c’è un episodio minore in scaletta, dalla folgorante partenza alla Replacements della title track alla sentita ballata The Buzz, dal reggae di scuola Clash Lightning Man al quasi Oi! (sebbene più melodico) di Turf Accountant Daddy, dalla dolcissima You Can’t Hurt a Fool (con quell’intro che sembra rubato al De Gregori di Compagni di viaggio!) alla botta adrenalinica di I Didn’t Know When to Stop, dal mid tempo strappacuori di Maybe Love is in NYC alla pazza Junkie Walk (come non sentirci lo sregolatissimo Iggy Pop del periodo “Soldier”?), dal beat punk Didn’t Want to Be This Lonely alla conclusione per voce e pianoforte di Crying in Public. Sarà solo rock’n’roll, ma quanto ci piace e quanto ne servirebbe ancora.

Andrea Manenti