Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Tobia dei C+C=Maxigross in occasione dell’uscita del loro nuovo album dal titolo “Deserto”, il primo completamente in italiano. Intenso, triste, rilassato, diretto, sincero, per la prima volta ci sembra di conoscere davvero questa band, senza i filtri dell’inglese, in una veste che forse mette al primo posto la parola. Sì, gli amanti della psichedelia rimpiangeranno forse i C+C=Maxigross di un tempo, ma non ci sarà che rassegnarsi perchè, così dicono, questo è solo l’inizio.
Chi sono i C+C=Maxigross quando non suonano? E che cosa è successo nel frattempo?
C+C=Maxigross per noi significa un organismo a sé stante, di cui noi attualmente costituiamo gli organi, ossia ciò che funziona e svolge il proprio singolo compito per rendere possibile qualcosa di più grande di noi. È impensabile realizzare qualcosa di lontanamente complesso e imprevedibile come un lavoro tra più elementi, rispetto al lavoro di un singolo. E non si tratta di una semplice addizione, naturalmente. È assolutamente un rapporto esponenziale. Nel bene e nel male. Per chi invece è interessato a una risposta più dettagliata e cronologica consigliamo di consultare il nostro sito nella sezione “biografie”.
Per quanti motivi “Deserto” è un cambio di percorso? Vi siete dati una calmata?
Con “Deserto” abbiamo fatto un piccolo ma importante cambio di rotta, provando a spogliarci dei panni di musicisti e di band. Smettere di fare tutte quelle cose la cui motivazione che sta alla base è la sola “perché bisogna fare così”, provando a trattare la musica non “come musica”, ma come necessità scaturita dall’unione delle nostre quattro anime. Cosa vogliamo? Dove stiamo andando? Perché? Ci siamo fatti tantissime domande, il che è la parte semplice del processo, e abbiamo provato a formulare risposte sincere e pure, il che è la parte complessa. Non ti so dire se ci siamo riusciti appieno, probabilmente no. Ma non ci preoccupa molto l’aver conseguito il nostro obiettivo al 100%: abbiamo capito intanto che si può fare e che lo vogliamo fare. Questo è solo l’inizio di un nuovo modo di affrontare la musica, pardon, la creazione artistica.

La copertina di “Deserto”
È cambiato anche il vostro modo di comporre? Aneddoti dallo studio?
Abbiamo composto questo disco durante la traversata di un deserto durata almeno quattro anni. La carovana di un progetto nato un decennio fa ha cambiato molti degli avventurieri, ha visitato mercati e porti di tutto il mondo conosciuto, ed è inevitabile che abbiamo assorbito usanze, tradizioni e costumi che le persone che abbiamo incontrato e il via vai dei nostri compagni hanno arricchito e condizionato. Speriamo tutto questo traspaia dalle nostre opere, assieme agli aneddoti citati all’interno di esse.
Che ci raccontate del film? È vero che uscirà una sorta di documentario su “Deserto”?
Ti spiegavo due domande sopra come sia in evoluzione tutto ciò che circonda la nostra produzione artistica. I bisogni stanno sopra a tutto e il resto ne consegue in modo spontaneo e se serve, nuovo. Sentivamo che l’espressione artistica inizialmente confinata alla sola musica, avesse bisogno di altro: immagini statiche, narrazioni e anche il dinamismo narrativo di quello che si potrebbe definire “un film”. Abbiamo quindi coinvolto l’amico e regista Stefano Bellamoli, con cui è partito un processo condiviso con l’obbiettivo di completare il nostro “Deserto”. Nel concreto immagini da combinare con le canzoni, con una visione d’insieme unitaria, ma senza vincoli narrativi o forzature per renderlo quello che convenzionalmente definiremo un film. Quindi chiamiamolo pure film, in realtà è la parte visiva dello stesso “Deserto” a cui appartengono le canzoni.
Mentre la vostra idea di fare un tour per Verona?
L’idea di ripartire dalla nostra città ci è venuta ormai due anni fa quando ci siamo accorti che stavamo suonando sempre meno a Verona, ritrovandoci distanti e distaccati dai nostri amici, dalla nostra comunità e dalle realtà che la compongono. Tutto questo era successo senza accorgerci che stavamo inseguendo un ideale “professionale” che non ci riguardava, che ci aveva fatto credere per anni che quando una band del nostro settore cresce e inizia a suonare in giro per l’Italia deve poi tornare nella propria città sempre più raramente per creare “l’eventone” con più gente possibile. Questo però è un piano di mercato che punta solo al profitto, ed è limitante per chi come noi dà priorità al tessere e investire nelle relazioni. Non volevamo più dire di no a tutti gli amici e le realtà locali che ci chiedevano di suonare. E così abbiamo fatto. Siamo ripartiti dalla strada e dalla comunità del nostro quotidiano. In un momento storico in cui la società tende a dividerci e a ritenere ciò che è diverso come un problema e un danno, ancora di più in una città difficile come la nostra Verona dove il bigottismo, il razzismo e il neo-fascismo sono molto radicati, abbiamo scelto di fare l’unica cosa che sappiamo fare nella più totale naturalezza: suonare. Abbiamo fatto girare la voce tra tutte le persone che esistono e resistono in questo ambiente e ci siamo incontrati. Da maggio a ottobre 2019 abbiamo suonato in più di trenta occasioni, poi a dicembre 2019 è cominciato con lo stesso spirito anche Deserto per il Veneto, ed eccoci qua. I semi sono stati gettati.
Quando potremmo vedervi in tour?
Ci siamo promessi solennemente che chi di noi sopravviverà al Coronavirus© continuerà a portare avanti il progetto e quindi anche i concerti.
