Basta entrare al Fabrique per rendersi subito conto che il pubblico accorso per la band di Sacramento, sebbene questa abbia ormai più di vent’anni di carriera, è quello delle grandi occasioni. La calca è feroce, la tensione tanta.
Alle 21.00 fanno la loro comparsa sul palco gli Skyharbor, band fotocopia sbiadita degli headliner. Voce troppo pulita e suono poco feroce. Sarà uno scherzo per Chino e soci non farli rimpiangere.
I Deftones salgono sul palco alle 22.15 per un’ora e mezza precisa di show, rinchiuso tra un intro e un outro omaggio a due grandi artisti scomparsi lo scorso anno: David Bowie e la sua Girl Loves Me dall’ultimo capolavoro “Blackstar” e Prince con l’immortale Purple Rain. L’inizio è di fuoco grazie a due mine, prelevate direttamente dal capolavoro di diciassette anni fa “White Pony”, come Korea e Elite. La prima parte del concerto è poi tutta un sali scendi vertiginoso fra urla e melodia, distorsioni ed atmosfera, preso dalla seconda parte di carriera della band, quella che va da “Saturday Night Wrist” (2006) all’ultimo “Gore” dell’anno appena passato.
È però solo a questo punto che il pubblico si scatena veramente: parte il riff di Minus Blindfold, unico brano estratto dall’esordio “Adrenaline”, e basta poco perché la gente accorsa si trasformi in un’onda umana saltellante. La foga continua sulla rarità Teething (dalla colonna sonora di “The Crow: City of Angels”) per poi farsi subito religioso silenzio. Inizia Digital Bath e da qui in poi non ce n’è più per nessuno. La doppietta successiva (Change (In the House of Flies) e Be Quiet and Drive (Far Away)) fa passare dieci minuti da storia dell’alternative rock a stelle e strisce ai fortunati presenti ed è un qualcosa a cui tutti prima o poi dovrebbero assistere nel corso della propria vita.
Il finale è affidato ancora all’amatissimo Around the Fur ed alle urla sgraziate del frontman, visibilmente emozionato e felice dopo una serata in cui ha dimostrato di saper ancora intrattenere con grinta ed energia oltre che regalare grandi momenti all’insegna dell’emotività. C’è anche il tempo di un encore e sulle note di Back to School (Mini Maggit) e Rocket Skates si esaurisce il rito di rinascita del miglior gruppo di crossover statunitense.
SCALETTA: Korea / Elite / Diamond Eyes / You’ve Seen the Butcher / Tempest / Swerve City / Kimdracula / Gore / (L)MIRL / Rosemary / Minus Blindfold / Teething / Digital Bath / Change (In the House of Flies) / Be Quiet and Drive (Far Away) / My Own Summer (Shove It) / Headup // Back to School (Mini Maggit) / Rocket Skates
Andrea Manenti

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.