Hai presente il rumore che fanno le uova quando si rompono? Quel suono croccante che è insieme liberazione e disfatta, un patatrac attutito dal rinculo del tuorlo? Ecco, sì. La musica di Cristian Bugatti, il buon vecchio Bugo, mi ha sempre fatto questo effetto: un guscio in frantumi che fa “kruac” e si svuota di vita.
Dal vivo la musica di Bugo non cambia. C’è la chitarra scordata, i suoni storti, la voce gracchiante. I testi sono sempre quelli e morta lì. Ma all’Ohibò di Milano il Bugatti si presenta da solo, in acustico, con un bicchiere di amaro in mano e il pubblico seduto come si fa ai concerti seri. C’è da aspettarsi qualcosa di diverso.
L’inizio è sorprendente. Occhiali da sole in testa, felpa in acetato verde e scarpe camouflage, il cantautore nato a Rho attacca con Cosa fai stasera, un vecchio pezzo tratto da “Melchiorre e Golia” (2004). La sala ascolta in silenzio. Nello sguardo di Bugo, volutamente basso, si legge la voglia di raccontarsi attraverso la musica. Applauso, seconda canzone, altro applauso. In scaletta c’è anche Universo, perla del 1996 dal demo “Pane, pene, pan”.
Poi l’armonica introduce un brano che tutti, con malcelata vergogna, riconoscono in pochi secondi. È Ogni Volta di Vasco Rossi, croce e delizia per i fan della prima ora. Il caldo atroce non aiuta e qualche spettatore incomincia a perdere la concentrazione. È a questo punto che qualcosa inizia a girare per il verso sbagliato. Che poi sbagliato non è, se conosci Bugo e il suo mondo.
Insomma. Bugatti nicchia, vuole mantenere l’aplomb, non cedere alla provocazione. Ma gli scappa un sorriso e l’incantesimo si spezza per qualche minuto. Parte un botta e risposta con il pubblico. Suona Io mi Rompo i Coglioni, ma il battibecco è costante. Durante un medley tra Pasta al burro, Nel giro giusto, Ggeell e Battisti si sconfina nel cabaret.
Poi si torna in carreggiata. Bugo riprende in mano il concerto, suona le sue hit (tutte tranne Casalingo), cammina ancora sulle uova. In fondo la sua forza sta proprio in questo continuo gioco fra alti e bassi, fra poesia scanzonata e un ironico rigetto di ciò che suona bene in modo scontato. Come per il primo Vasco Rossi, gli Skiantos, qualcosa di Elio. La voglia di Bugo è il rifiuto di Bugo. Un desiderio anoressico che continua a farci cantare “Vado, ma non so”.
Paolo Ferrari

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.