Non ha la felpa in acetato, i risvolti ai pantaloni e neanche finti occhiali da vista grossi quanto la sua faccia.
Non canta in italiano, non ha sonorità anni ’80 e non fa nemmeno trap. Wrongonyou, all’anagrafe Marco Zitelli classe 1990, é un outsider. Non ha niente da spartire con lo sciame di cantanti Itpop nati negli ultimi anni, se non il fatto di essere nato in Italia. Ma qui la base è il talento e non la moda. Venerdì 23 marzo Wrongonyou suona al circolo Kessel a Cavriago.
Arrivo presto, il locale è semivuoto e mi metto davanti al palco.
Mi sporgo per leggere la scaletta. “Perché non c’è Sweet Marianne che è la mia preferita? Perché?” La mia amica non mi risponde. Sbuffo, aspetto. Intorno a mezzanotte arriva Marco, camicia a quadri e cappellino del South by Southwest Festival in Texas, dal quale è appena tornato.
Sembra serio.
Con lui sul palco Graziano Sousa e i suoi bellissimi baffi, GianMarco Ricasoli e Flavio Zampa. Sono in tour per presentare Rebirth, primo album che segue l’EP d’esordio Mountain Man. Quello stesso EP che ho comprato due anni fa in una fredda notte di dicembre, dopo un colpo di fulmine incontrollabile ed imprevisto.
Rodeo, Killer, Get Down, Green River, Family of the year, Oh lord, Prove it, Rebirth, Let me down, ci sono tutte.Non propriamente in quest’ordine, ma che importanza ha l’ordine quando si raccontano le emozioni?
La musica di Wrongonyou ha il sapore degli spazi aperti, del vento tra i capelli e degli infiniti prati verdi sui quali sdraiarsi a guardare le nuvole.
Marco non è più serio. Ride, scherza, cerca di coinvolgere un pubblico un po’ imbalsamato.
Chiede partecipazione attiva durante Tree “il pezzo più tunz tunz” e The Lake “quello più ballereccio” (per sua definizione, eh). Racconta anche la sua esperienza cinematografica con Alessandro Gassmann prima di eseguire il pezzo della colonna sonora, Shoulders.
A metà concerto la band si allontana dal palco e Marco resta solo con la sua chitarra, senza microfono.
“Oh ma questa è Sweet Marianne! Allora c’è!”.
Sorrido, lo fisso. Silenzio assoluto e la sola potenza della sua voce cristallina che echeggia nello spazio.
Non resta che ascoltare chiudendo gli occhi, in un misto di felicità e stupore.
Ho davanti un metro e novantadue di pura bravura.
Ogni volta è un incanto che emoziona.
Verso la fine Marco regala anche una bella cover di Bruce Springsteen, I’m on fire.
Finisce il concerto.
Tanti applausi, abbracci, inchini e sorrisi.
Il cuore è leggero e si è tutti più contenti.
È così impeccabile che gli si perdona pure che le prime influenze folk e di Justin Vernon abbiano lasciato spazio a sonorità un po’ più pop. Non avete mai visto Wrongonyou dal vivo? Ecco, fatevi questo regalo.

Se vi piace la musica fatta con cura e amore, non potrete rimanere delusi.

A cura di Cecilia Tanzi

Foto di Anna Lisa Botti

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