The Men, la band di Mark Perro e Nick Chiericozzi, sono una delle creature più ingiustamente sottovalutate del panorama musicale a stelle e strisce. Giunta ormai all’ottavo album, la formazione newyorkese può considerarsi ad oggi una delle migliori in ambito rock chitarristico. Inizialmente dediti al rumore bianco del post hardcore più intransigente, gradualmente i The Men hanno saputo reinventarsi in un orgiastico omaggio al rock tutto, dai sixties al terzo millennio.

“Mercy”, solo sette brani ma più che corposi, è una sorta di antologia di ciò che di più bello ci ha regalato il sacro fuoco della chitarra elettrica durante la sua adolescenza (gli anni ’70) e a tratti durante la sua maturità (gli anni ’80), da tanti forse ingiustamente snobbata.

L’album inizia con il folk dylaniano di Cool Water, per esaltarsi subito dopo nella lunghissima cavalcata (più di 10 minuti) Wading in Dirty Water, fra l’organo lisergico dei Doors, gli assoli slabbrati dei Crazy Horse e il fuzz ultra distorto dei Mudhoney.

Fallin’ Thru, ballad notturna per piano e voce, è cupa e poetica come solo il Nick Cave più melmoso e pre-sperimentazioni barbose di Warren Ellis, ma la vera sorpresa è la successiva Children All Over the World: riff tastieristico da band hair metal su base sguaiata debitrice di lavori molto eighties come “Instinct” di Iggy Pop oppure “Re-ac-tor” di Neil Young.

Con Call the Dr. si torna ad atmosfere più acustiche grazie al suo bel alt-country d’effetto, mentre Breeze è sicuramente il brano più punk del lotto, fra australian rock’n’roll e proto-grunge. La conclusione è affidata all’emozionale title-track, una Waiting for the Miracle di coheniana memoria, se possibile ancora più dark e sofferta.
Un altro grande album per ogni vero rocker in circolazione.

Andrea Manenti

 

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