Da qualche tempo a questa parte, addentrarsi nell’ascolto di un nuovo disco risulta sempre poco prudente. Il rischio è quello di porsi con un atteggiamento non oggettivo che utilizza come unità di misura della sua qualità lo scostamento o meno dal background musicale attuale.
Guidato da questa premura, premo play e ascolto con molta cura “È in arrivo la tempesta” di Martino Adriani. Qualcosa aguzza la mia curiosità e i primi tre brani suggeriscono un’immagine bizzarra. È un po’ come se Ivan Graziani avesse scritto per Franco Battiato, che invece di scoprire l’elettronica scopre il rock alla Ligabue frequentando i piccoli club della Capitale in cui muovono i primi passi Fabi, Gazzè e Sinigallia.
Un disco che si apre con Ariel: una fresca sbocciatura caratterizzata da suoni semplici e precisi che almeno per un attimo ci liberano dagli accordi “tenuti” e dalle chitarre preconfezionate con chorus e delay tipiche dell’indie.
Ma forse è un po’ presto intravedere una direzione precisa del disco. Tutto si offusca e la tempesta arriva davvero. Con Bottiglie di Chianti il cielo si ricopre di nuvole, manda a casa qualsiasi raggio di sole e scompone un umore che risveglia la sensazione di svogliatezza e pesantezza tipica della domenica pomeriggio: l’ora in cui imposti la sveglia delle 6:30 mentre prepari il cibo freddo per la pausa pranzo del giorno dopo, per intenderci.
I ritmi del disco si fanno lenti, la voce sembra abbandonarsi a un lamento e persino le chitarre sembrano annoiarsi. È nel momento in cui Paolo Conte passa nello stereo che mi distraggo. Chiudo gli occhi e comincio a sognare un disco che mi faccia accapponare la pelle tanto da condannarlo a un’usura da ascolto.
Mi sveglio e mi accorgo che la tracklist è terminata e, pur senza la pretesa di ribaltare le sorti della musica italiana, “È in arrivo la tempesta” purtroppo non riesce nemmeno a impreziosirla.
Renato Murri
