Il 2020 è una merda, e fare uscire un disco in questi primi mesi dell’anno una follia, un suicidio (fidatevi, ne so qualcosa). Joseph D’Agostino probabilmente la pensa come me, ma fortunatamente non agisce di conseguenza e il 20 marzo, dopo aver rinunciato al contratto con Tiny Engines, pubblica il primo full lenght a nome Empty Country, con Get Better Records.
Probabilmente vi ricordate dei Cymbals Eat Guitars, band del New jersey tanto talentuosa quanto poco fortunata, quattro dischi, tour di spalla a nomi importanti, ma pochi riscontri concreti. D’Agostino riparte da questo parziale fallimento per ripensarsi come musicista, a livello umano ma anche sonoro.
Dicevamo del 2020, ecco, il disco di Empty Country è qui, ed è bellissimo. E in simili condizioni brilla ancora di più, si gode a fondo, ti entra dentro, ti avvolge. Se con i CEG le scelte stilistiche vertevano decisamente su terreni rock, l’evoluzione solista Empty Country abbraccia atmosfere spesso più morbide e rilassate.
Empty Country è un disco indie, erede della vecchia tradizione di Pavement e Silver Jews, ma a suo modo perfettamente contemporaneo. A far la parte del leone sono le chitarre acustiche, spesso a 12 corde o pedal steeel, che donano una brillantezza a cavallo tra folk e alt-country, scelta evidente in pezzi come Marian, incipit del disco, ma anche Untitled e Becca, probabilmente il pezzo migliore del lotto. Non mancano alcune sfuriate elettriche come in Ultrasound, altra perla sonica, che rimangono però limitate in un disco intimo che concede anche alcuni spazi a strumentali impregnati di lieve psichedelia, Chance, Clearing.
Empty Country è un progetto solista, ma si sviluppa grazie al contributo di nomi noti della scena indipendente statunitense: Rachel e Zoë Browne delle Field Mouse, (la prima è anche moglie di D’Agostino), nonché Charles Bissell dei Wrens, oltre ad alcuni ex componenti dei CEG.
I testi svolgono un ruolo fondamentale, come rimarcato dallo stesso autore in varie interviste, in cui racconta anche del suo rapporto con lo scomparso David Berman, con il quale condivideva una simile pulsione per la poesia e un parallelo percorso di depressione.
In Swim troviamo un prigioniero di Sing Sing con un inquietante tatuaggio, Becca racconta di una donna che offre finti occhiali per fissare un’eclissi (geniale), Marian invece è la triste storia di un minatore che vede la propria morte nel collasso della miniera e immagina la propria figlia da adulta. Ultrasound trasmette le sensazioni angoscianti di attesa per il risultato della biopsia della propria moglie.
Insomma, non proprio un disco allegro, un disco perfetto per questi tempi, bello e terribile.
Carlo Pinchetti
Mi racconto in una frase:
Campione d’istituto di ping pong in prima media, distrattamente laureato in Filosofia, papà, scrivo canzoni con la chitarra e le canto.
I miei tre locali preferiti per vedere musica:
Ink Club (Bergamo), Biko (Milano), Bloom (Mezzago)
Il primo disco che ho comprato:
Nirvana “Bleach”
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Nirvana “Bleach”
Una cosa di me che penso sia inutile ma ve lo racconto lo stesso:
A 14 anni sono stato selezionato per l’All Star Game del camp estivo di basket dell’Università di Syracuse, ma non ho potuto giocarlo perché avevo l’aereo di ritorno.