La scorsa notte direttamente dal suo account Instagram, Dave Longstreth (Dirty Projectors) ha intavolato una singolare discussione sullo stato di salute dell’indie-rock.
Prendendo in prestito le parole del successo del gruppo hip-hop Migos, ha definito il genere “bad and bougie”, nell’accezione di essere arrivato al suo capolinea in una condizione deludente e logora. Nelle sue parole si legge tutta l’insoddisfazione nei confronti dell’indie-rock, che obbedisce a “un paradigma superato che nei nostri cuori sappiamo non avere realmente senso”.
Il frontman dei Dirty Projectors menziona Robin Pecknold (Fleet Foxes), il quale risponde con una lunga riflessione che parte dalla constatazione del 2009 come ultimo anno fertile dell’indie-rock, citando lavori come Bitte Orca, Merriweather Post Pavilion o Veckatimest (degli stessi Dirty Projectors, Animal Collective e Grizzly Bear). Al giorno d’oggi è molto difficile capire che direzione stia prendendo, più o meno commerciale che sia. Longstreth, soddisfatto della replica, asserisce aggiungendo che la novità rispecchia il mondo che cambia, ma che la natura umana abbia un suo modo di rimanere costante, “per questo non ci serve musica che cambi continuamente; per questo la tradizione è preziosa”.
Tra le varie incursioni sotto il post originale di Longstreth sul presunto declino dell’indie-rock troviamo anche quella di Ed Droste (Grizzly Bear) che commenta il tutto con una emoji di stupore.

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.