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Wonder Wheel – La ruota delle meraviglie, di Woody Allen (2017)

Per questo Natale Woody ha scelto di regalarci un nuovo dramma. L’ottantaduenne più Newyorkese che c’è ha deciso di spostare il proprio set a Coney Island, all’epoca in cui lui era bambino. È difficile non pensare ad “Annie Hall”, in quel tripudio di giostre in mezzo alle quali si muove un bambino rosso un po’ spostato con la passione per il cinema, ma “Wonder Wheel” è tutta un’altra storia. È soprattutto un film nostalgico che rimanda a “Fronte del Porto”, “Un tram che si chiama desiderio” e alle opere di Eugene O’Neil, tutto condito dal Caso e dall’epica greca. Woody sceglie un’attrice divina come regina di un regno di disincanto, emanazione di Mildred Pierce e Blue Jasmine e di entrambe mostra fragilità ed ingenuità.

Ginny (che perfezione Kate Winslet!) è una donna alla deriva, cameriera in un ristorante, da quando la realtà è diventata peggiore del ruolo più scadente che le sia stato offerto nella sua prima vita di attrice. Per le proprie debolezze ha perso tutto ed ottenuto quanto non avrebbe mai voluto: un amore perduto, un marito violento e come unica compagna la propria solitudine.

Cosa può succedere in un’estate rovente, dall’incontro con un bagnino troppo preso da se stesso e dai propri sogni con questa donna disperata? Cosa potrà fare la gelosia di una donna preferita ad una più giovane? Woody sceglie la legge delle coincidenze, dove (come in Match Point) il caso ha la forza del destino, direziona incontri, innamoramenti ed omicidi colposi. Ginny diventa Fedra, Woody si spinge oltre, va fuori fuoco, ritrovando il calibro nella recitazione della Winslet, ma tutto sembra eccessivamente carico, per un film troppo teatrale per un cinema spettacolare, che avrebbe giovato di una meno ridondante (seppur bellissima) scenografia. “Wonder Wheel” ha una sceneggiatura che inciampa su alcuni dialoghi imbarazzanti e giovani attori non strepitosi (Justin Timberlake in versione pesce lesso e Juno Temple frivola, che si atteggia al Mia Farrow in “Broadway Danny Rose”), ma ha la forza del cinema di Woody Allen, pieno di (auto-citazioni) e di passati sfarzi e vale sempre la pena di vedere un suo film. Non brillo in obiettività quando si parla di lui, lo so, ma credo che più che un giudizio univoco per il suo cinema si debba rispolverare la politica degli autori, quando Truffaut sosteneva che “non ci sono opere, ci sono solo autori” e continuare ad amare il suo cinema adesso fuori fuoco, pensando a lui come un invecchiato ed adorabile Harry a pezzi.

Il Demente Colombo