Dopo ben sette anni di pausa tornano gli Antlers del leader nonché polistrumentista Peter Silberman, stavolta accompagnato dal solo Michael Lerner alla batteria e alle percussioni. Sono ormai lontani i tempi del gioiello “Hospice”, che portò la fama al cantautore newyorkese, ma anche quelli di “Familiars”, ultimo passo verso il raggiungimento di un idea di musica basata sull’emotività, spinta spesso fino a derive ansiogene o quasi, e un minimalismo dove a farla da padrone erano i drone di sottofondo tipici del paesaggio sonoro creato dal nostro sia alle sue origini, sia nei lavori più maturi.

“Green To Gold” ci mostra un Silberman in sintonia con se stesso, lontano dalle reminescenze radioheadiane dei vecchi album, ma comunque ancora credibile. Come un novello Neil Young in pausa dai suoi fedeli Crazy Horse, la nuova formazione a due degli Antlers si concentra infatti su un folk dolcissimo e in un certo qual modo tradizionale.
L’album comprende dieci brani, dei quali due, l’iniziale e il conclusivo, interamente strumentali. Per il resto Silberman si limita a sussurrare chiare melodie accompagnato da chitarra, piano e un’essenziale base ritmica, cedendo raramente a tappeti vagamente elettronici, qui posti semplicemente in sottofondo, o a strumentazioni più ampie (un banjo, un sax).

Davvero belli sono i singoli Just One Sec e It Is What Is, con rimandi vagamente R.E.M., quelli meno pop e più intimi. Per il resto il disco è difficile, ma capace di donare, ascolto dopo ascolto, una serenità di questi tempi così rara che non si può fare a meno di apprezzare. Concludiamo con una similitudine dello stesso Silberman che può servire a far capire meglio questo ultimo progetto: «Se gli Antlers fossero David Lynch, “Green To Gold” sarebbe “Una storia vera”».

Andrea Manenti