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Stef Chura – Messes: Recensione

Nel sottobosco indie statunitense per fin troppo tempo, “Messes” è la sintesi perfetta della vita altalenante di Stef Chura, indie-rocker ventottenne di Detroit, alle prese con un debutto crepuscolare dalla forte attitudine grunge. Undici brani con la costante della voce magnetica, evocativa e tremante che si ripercuote su tutto l’album.

Ispirato dalla morte di uno degli amici più stretti, fattore particolarmente incisivo che rende gran parte dei testi personali e struggenti, si tratta di un vero e proprio vortice dai contorni indefiniti. Non può che essere Slow Motion, la canzone trainante del disco, ad aprire con il taglio da vera rocker. L’equilibrio che sembra mancare subito da sotto i piedi è dato dai pezzi lenti (Thin, Human Being), che trasportano in un sogno vivido, lasciando comunque spazio a sufficienza per il rock’n’roll più classico e groovy (Faded Heart).

Da questa solo apparente leggerezza, è la voce a pagare pesantemente il ricordo di una persona cara mancata (Time To Go), un dramma nel dramma che questo disco vuole esorcizzare e celebrare. La title-track non può che rappresentare il culmine del dolore e delle ferite, sebbene ogni canzone racchiuda in sé esperienze di conflitti e lotte intestine. La presenza aggressiva delle chitarre distorte contribuisce enormemente a nutrire questo immaginario di confusione emozionale totale.

È nella chiusura che il talento dell’artista sembra risplendere più che mai, aumenta anche il trasporto, in una sorta di calma che concilia alla perfezione tutti i sentimenti furiosi che hanno incendiato il disco fino all’attimo precedente (Speeding Ticket). “Messes” dimostra come una produzione non gigantesca non sia sempre necessaria, che il taglio lo-fi a volte sia perfettamente calzante. Risulta nel complesso un lavoro istantaneo e sincero che raccoglie frammenti sparpagliati dell’anima dell’artista americana senza rischiare di disperderli. In tutto questo caos acido Stef Chura è finalmente pronta.

Caterina Gritti