Sono ormai passati 9 anni dall’ultimo lavoro in studio dei Placebo, “Loud Like Love” (2013), e ben 16 dall’ultimo disco con un certo appeal artistico, “Meds” (2006). I londinesi hanno quindi avuto molto tempo per ripensare a se stessi e ripartire con il giusto piglio. Un tour mondiale celebrativo e un ottimo unplugged, che è poi l’unico loro album dal vivo ufficiale, hanno dato la possibilità ai due reduci Brian Molko e Stefan Olsdal di fare pace con il loro grande passato.

Oggi i Placebo sono tornati. I temi proposti ci mostrano un Molko in piena paranoia, alle prese con un mondo giudicato sbagliato e con il suo costante amore-odio per le droghe, viste sia come dipendenza sia come farmaco. L’aspetto musicale, che torna agli allori fra rock aggressivo ed elettronica, mostra finalmente melodie e arrangiamenti più che convincenti.

Eccoci alle prese con brani che non fanno rimpiangere la fase giovanile del progetto, come l’iniziale Forever Chemicals, Sad White Reggae e Chemtrails, botte di energia come Hugz e Twin Demons, singoloni melodici del calibro di Beautiful James, Try Better Next Time e soprattutto l’insolita semi-ballad per archi The Prodigal e ballatone tese e sentite come Happy Birthday in the Sky e Surrounded by Spies.

Fin qui tutto bene, anzi molto bene. Negli ultimi tre brani, This Is What You Wanted, Went Missing e Fix Yourself, tre lenti dal sapore sofferto, Molko affronta forse per la prima volta in maniera così marcata una vera e propria nuova direzione. Come un novello Alan Vega, si apre infatti come mai aveva fatto in passato, mostrandosi dark e vampiresco, ma anche estremante sincero e fragile. La frase finale, «Go fix yourself instead of someone else», ripetuta ossessivamente come fosse un mantra, può sapere di epitaffio e quindi anche di rinascita. Questo album sa in effetti un po’ di resurrezione.

Andrea Manenti

 

 

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