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Massimo Zamboni – Sonata a Kreuzberg: Recensione

Uno dei pesi massimi del punk-rock italiano e dello stesso rock alternativo, ovverosia Massimo Zamboni, aggiunge un tassello alla sua discografia con questa uscita, che altro non è che la colonna sonora dello spettacolo teatrale “Nessuna voce dentro – Berlino millenovecentottantuno”, tratto a sua volta dal suo omonimo romanzo del 2017.

Un progetto della maturità quindi: multimediale ma su canali consolidati, quali romanzo e teatro, e con un gusto per il bilancio esistenziale un po’ nostalgico come spesso succede ai cinquantenni di successo (che poi questo successo lo si misuri in soldi, fama o situazioni sgradevoli da cui si è riusciti a sgusciare via conta poco, non mettiamoci a fare gli invidiosi o a cercare empatia pelosa).

Le intenzioni nostalgiche e archivistiche dell’operazione, poi, emergono anche dal fatto che molte delle canzoni presenti sono cover di musiche uscite a cavallo di quel fatidico 1981, anno in cui l’autore del disco si trovò a Berlino, zona Kreuzberg, “luogo glorioso di residenza di migliaia di Hausbesetzer, gli occupanti di case che in quegli anni di Muro hanno dato un volto umano alla città”, per trovare, come in effetti possiamo confermare, la sua strada.

Per l’occasione Zamboni attacca temporaneamente la chitarra al chiodo per passare al basso e si fa aiutare da Angela Baraldi alla voce e Cristiano Roversi al pianoforte e alle ritmiche, quest’ultimo anche autore di due dei quattro inediti di questa sonata.

Il risultato finale? Diciamo che è un disco che rispecchia le aspettative, perché la professionalità dei partecipanti all’operazione assicura nitidezza ed equilibrio per tutta la durata dell’ascolto. Ma queste stesse qualità rendono le esecuzioni forse troppo poco “punk”, più new age che new wave, salvo la cover dei DAF, che ha quel tocco techno-arabo che fa pensare a una bancarella del suuq in cui si vendono smartphone di seconda mano e ci dà una scossa di sangue giovane molto più vicina ai turchi incontrati da Zamboni quando aveva vent’anni.

Per completezza, tra le tracce presenti troverete anche composizioni di Weill & Brecht, Einstürzende Neubauten, Nico, Bette Davis Eyes di Kim Carnes, Lou Reed, e una degli stessi CCCP.

Non fraintendeteci, stiamo parlando di un disco godibile, che spalanca alla fruizione di tanta altra arte in senso lato, cioè gli originali delle canzoni contenute, lo spettacolo teatrale o il romanzo ad essi collegati. Ma se consideriamo la forza della musica di questo monumento del rock alternativo italiano, mi viene da pensare che la bagna cauda del compassato e colto Paolo Conte riesca a scaldare le budella in modo più efficace rispetto al kebab bio e un po’ troppo masterchef dell’ex-punk Zamboni. Ma forse il kebab con tanta cipolla e tanto piccante non riuscite a digerirlo.

Alessandro Scotti