Accademico, minimalista, etnico, ipnotico. Una raccolta che fa pensare a Franco Battiato e agli Area, agli intellettuali inquieti che dagli anni ’70 cercano nel lontano oriente un senso che l’opulento occidente non sa più dare (salvo il fatto che la geopolitica sta invertendo il ruolo di chi è opulento, ma non divaghiamo).
Suonato e arrangiato con gusto, abbigliato con suoni fluidi, e molto, molto salottiero. Non c’è nulla di male, sia chiaro, perché a una certa età sarebbe forse ridicolo fare trap, o metal, ma siete avvisati: non c’è indie qui, non c’è rock, non ci sono graffi, ma massaggi, musica da meditazione che rivisita una certa idea della musica etnica.
Strumentali perfetti per un circolo yoga, o per un documentario su Arte, rilassanti e in una buona manciata di occasioni dotati anche di un guizzo sensuale, olistico, da kamasutra, che dà una spinta in più all’ascolto. Eccetto in alcune occasioni dove il minimalismo cede lo spazio alla muzak. D’altra parte, perché aspettarsi altro da Massimo Zamboni? In queste 13 tracce c’è coerenza rispetto a un percorso nato in Emilia, proseguito a Berlino, zona Kreuzberg, con successiva tappa a Mosca e poi in Mongolia.
L’ex chitarrista dei CCCP – fedeli alla linea e dei CSI sviluppa qui uno dei possibili percorsi della sua esperienza umana e artistica, e lo fa con un disco che, se a volte suona un po’ soporifero, d’altra parte trasuda sincerità e pace interiore. Un progetto nato dopo un viaggio in Mongolia, fatto questa volta non con Ferretti, come ai tempi dei CSI, ma con la moglie e la figlia, e da cui sono scaturiti anche un libro e un film.
Forse in quanto progetto multimediale sarebbe stato meglio fruire dei suoni assieme alle parole e alle immagini in movimento, forse così certi momenti un po’ riempitivi, un po’ svogliati, avrebbero acquistato più senso. Ma forse è giusto che questo disco suoni così, a volte monotono e banale come la felicità. D’altra parte, come diceva Ian Curtis, che certi risultati in fatto di benessere spirituale non li ha mai raggiunti, “life when it touches perfection appears just like anything else”.
Alessandro Scotti
Mi racconto in una frase: vengo dal Piemonte del Sud
Il primo disco che ho comprato: “New Picnic Time” dei Pere Ubu è il primo disco che ho comprato e che mi ha segnato. Non è il primo in assoluto ma facciamo finta di sì.
Il primo disco che avrei voluto comprare: qualcosa dei Pink Floyd, non ricordo cosa però.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: la foto della famiglia di mia madre è in un museo, mia madre è quella in fasce.