Partendo dall’aristocratica Lana Del Rey, attraverso la ribelle Phoebe Bridgers e la più sperimentale Japanese Breakfast, infine aggiungendo l’acqua e sapone ma dall’intensità straziante di Lucy Dacus, negli ultimi anni il rock cantautorale statunitense si è gradevolmente tinto di rosa. Al terzo album in cinque anni, la ventiseienne Dacus dimostra una profonda maturità. Le undici canzoni che formano questo “Home Video” vedono infatti la musicista della Virginia alle prese con una coraggiosa rilettura di se stessa, che la porta infine ad analizzare sentimenti ed emozioni dal carattere universale nei quali facilmente moltissimi ragazzi possono riconoscersi.

Se la partenza è affidata un po’ ruffianamente al singolo di lancio Hot & Heavy, un’ottima canzone in grado di mescolare sì le varie anime della Dacus ma senza purtroppo soffermarsi su nessuna in particolare, la vena più intima dell’artista viene a galla più spiccatamente nelle molte ballad (Christine, Brando e Please Stay, ma soprattutto nelle essenziali Cartwheel e Thumbs). La vena più rockeggiante è invece ben presente nell’irresistibile First Time, ma anche nei sette inaspettati secondi degni del Billy Corgan più rumoroso di VBS e nella coda della conclusiva, la tesa e lunga Triple Dog Dare.

Stupisce poi la doppietta Going Going Gone / Partner in Crime: la prima è un toccante country acustico, la seconda un esperimento non interamente riuscito fra autotune e distorsioni chitarristiche dal sapore quasi shoegaze. Un album al limite fra ricerca e spensieratezza, profondità e facile ascolto. Lucy Dacus si diletta stando saldamente in equilibrio sul filo di metallo e regalandoci così l’ennesima buona prova.

Andrea Manenti