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Let’s Eat Grandma – I’m All Ears: Recensione

Dopo essersi fatte un (pessimo, ce lo concederanno) nome con il loro Ep d’esordio ”I, Gemini” (2016), quando avevano solo rispettivamente 16 e 17 anni, per Jenny Hollingworth e Rosa Walton è arrivato il momento di calcare un po’ la mano con il secondo album. Eccoci dunque a parlare di “I’m All Ears” (2018, Transgressive Records).

L’alchimia che le tiene musicalmente insieme è davvero unica. Non può essere quindi un caso che gente del calibro di SOPHIE o David Wrench abbia deciso di mettere mano a questo lavoro, dando un inconfondibile tocco su alcune delle tracce (Hot Pink, su cui torneremo dopo). Al loro esordio su un disco vero e proprio, le nostre Let’s Eat Grandma non lasciano delusi i fan della primissima ora. La presa di coscienza del loro potenziale smorza leggermente la produzione eccentrica ma quasi infantile di “I, Gemini,” che però non viene del tutto tradita da alcune gemme (Cool & Collected, Donnie Darko) che durano complessivamente ben venti minuti e non sarebbero facilmente digeribili, se non per il fatto che la conduzione è ottima dall’inizio alla fine e porta verso un finale azzeccatissimo.

Le fusa che si sentono in sottofondo in The Cat’s Pijamas, poi, sono solo uno dei giochi che si inseriscono nel disco, fatto di contrapposizioni (poco meno di un minuto anche per Missed Call (1) contro i nove di Cool & Collected) e colpi di sintetizzatori ben assestati. Le strutture progressivamente più complesse (Whitewater), ma è Hot Pink, dai ritmi schizofrenici, l’apripista di questi undici brani: un’esplosione di synth e atmosfere disco. Ci sono tutti gli elementi ad hoc per stupire e spaziare fino ai territori del psych-pop.

Undici pezzi che trasudano di (Hot) Pink Power. Le chitarre scure fanno capolino nella già citata Cool & Collected, Snakes & Latters sembra suonata sotto acidi. La stranezza di questo duo produce un pop fatto di suoni vibranti, quasi una sorta di mini-feste orgiastiche che spaziano dall’energia di un rave all’euforia freschissima dei ritornelli martellanti. Quando le acque si distendono (per modo di dire, It’s Not Just Me) lasciano spazio all’atmosfera sognante, che le note del piano sottolineano in modo idilliaco (AVA devota al pop più classico e introspettivo). L’electro-pop, sviscerato senza badare alle conseguenze: in un disco che suona ancora come transazionale in un crescendo di potenza quasi rivelatorio nel finale (Donnie Darko).

Se queste sono le premesse del duo “experimental sludge pop” (come amano definirsi), “I’m All Ears” si proietta come qualcosa di unico nel panorama del pop odierno con un rivestimento decisamente più accattivante come risultato di un processo di maturazione avvenuto in tempi record.

Caterina Gritti