Finalmente i King Gizzard & The Lizard Wizard tornano a suonare come i King Gizzard & The Lizard Wizard. Un’affermazione del genere potrebbe far sorridere la maggior parte dei lettori, soprattutto se si pensa che la compagine di fricchettoni australiana in questione è attiva solamente da dieci anni. Il discorso inizierebbe a cambiare, però, se aggiungessi che in questo decennio Stu Mackenzie e soci hanno sfornato la bellezza di ben sedici album, senza contare gli innumerevoli dischi live e gli EP (leggi qui il nostro speciale sugli 11 generi musicali affrontati dai King Gizzard nella loro carriera).
Tornando all’incipit, posso quindi azzardarmi a dire che con questo nuovo album i King Gizzard & The Lizard Wizard sono tornati a suonare come se stessi. Gli ultimi due lavori in studio avevano infatti mostrato una band da una parte più incline al pop blues settantiano (“Fishing for Fishes”), dall’altra una nuova paladina del trash metal (“Infest the Rats’ Nest”).
“K.G.” si riallaccia invece alla loro produzione più propriamente psichedelica, in particolare a quel “Flying Microtonal Banana” dal quale sembra passata una vita (se in effetti nel mezzo ci sono stati ben sei album, in verità il lavoro risale ad appena tre anni fa). Questo lo si nota subito nella ricerca di soluzioni armoniche all’interno della scala microtonale, la stessa utilizzata appunto in quel lavoro, cercando di essere il più semplice possibile utilizzando la scala tradizionale della musica araba e turca.
“K.G.”, primo disco dei nostri a non essere stato registrato in presa diretta (la causa ovviamente è la pandemia mondiale, ma anche a un ascolto attento il cambiamento non si nota per nulla), è un trip lisergico suddiviso in dieci diverse stazioni. Si parte dall’intro K.G.L.W., uno strumentale scarno che serve a fissare l’atmosfera sulla quale il disco si evolverà durante il suo tragitto. Automation preme subito il piede sull’acceleratore mescolando Hawkwind (chissà se da lassù Lemmy sta sorridendo…) e danze desertiche. Straws in the Wind, più acustica, riporta la mente in altri tempi e luoghi, più precisamente nella Sicilia saracena del decimo secolo, mentre Intrasport vede i nostri a far razzie nel deserto in sella a grosse jeep, con i bassi che pompano dai finestrini come se non ci fosse un domani. La conclusiva The Hungry Wolf of Fate è una ballad stoner piena zeppa di fuzz. Il resto del disco sono i soliti folli King Gizzard. Mica poco.
Andrea Manenti

Mi racconto in una frase: insegno, imparo, ascolto, suono
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica: feste estive (per chiunque), Latteria Molloy (per le realtà medio-piccole), Fabrique (per le realtà medio-grosse)
Il primo disco che ho comprato: Genesis “…Calling All Stations…” (in verità me l’ero fatto regalare innamorato della canzone “Congo”, avevo dieci anni)
Il primo disco che avrei voluto comprare: The Clash “London Calling” (se non erro i Clash arrivarono ad inizio superiori…)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: adoro Batman