fbpx

Danko Jones – A Rock Supreme: Recensione

Ci sono cose con le quali sai esattamente dove andrai a parare, sai esattamente in quale forma si presenteranno e quale emozione sensoriale ti trasmetteranno: come una lager ghiacciata quando hai sete o il vento in faccia quando prendi la tua moto. Così te le aspetti, e così devono essere, altrimenti, lì sì, potresti quasi rimanerne deluso. Come un disco dei (di) Danko Jones: sai com’è fatto, sai come arriverà, e non ci pensi nemmeno ad immaginarlo diverso.

Con Garth “GGGarth” Richardson in cabina di produzione (lo stesso che a suo tempo lavorò all’esordio dei Rage Against The Machine), i canadesi sono arrivati con questo “A Rock Supreme” al nono album in oltre 20 anni di carriera, che li ha visti mettere alla prova amplificatori e palchi in lungo ed in largo per il mondo. Il canovaccio, se ci fossero dubbi, è quello più consolidato. Una sorta di marchio di fabbrica immarcescibile.

Danko Jones, John Calabrese e Rich Knox (qui la nostra ultima intervista alla band) rimbracciano i cari strumenti del mestiere e danno il via alle danze: mettete da parte ogni velleità di trovare qualcosa di sperimentale o deviazioni stilistiche e di contenuti particolari. Sia chiaro: siamo di fronte a un hard rock del più scolastico, fatto di potenza, anthemico, con ritornelli che ti si stampano in mente, riff ed assoli che sono traccianti e fendenti nevrotici.

Non c’è nemmeno quel grande impegno a trovare contenuti particolari nei testi (emblematici, in tal senso, pezzi come l’opener I’m in a Band, I Love Love o ancora Dance Dance Dance) e in primo piano troviamo ancora la voce calda e poliedrica del dominus Danko Jones. Cambi di passo, ma sempre in corsa, tra inni, motti, gridi di battaglia e cariche motivazionali.

Non chiedete ai Danko Jones un album della maturità: non ci pensano nemmeno. Avanti per la loro strada, con la solita immediatezza e il solito entusiasmo degli esordi. Proprio come avevamo messo in conto prima di premere play. E care cose alle mode del momento.

Anban