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Chi è Kevin Morby?

Se vi siete chiesti chi sia Kevin Morby e perché non dovreste mai prendervi un suo concerto, abbiamo la risposta giusta per voi. Scegliete in serenità la versione che più vi aggrada.

 

Versione per imbruttiti:  1 minuto

Kevin inizia la sua carriera come bassista nei Woods, poi cantante e chitarrista nei The Babies, una delle band più fighe della scena di Brooklyn di qualche tempo fa. La sua carriera solista, invece, lo colloca in soli sei dischi, tutti fighi, tra gli interpreti più ispirati della scena folk alternativa americana contemporanea.

 

Versione per curiosetti: 4 minuti

Cantautore sofisticato e malinconico, Kevin Morby nasce nell’aprile del 1988 a Lubbock, città Texana nel nord ovest del Lone Star State e fin dall’età di dieci anni si dedica allo studio della chitarra. A soli 17 anni molla gli studi alla Blue Valley Northwest High School per fare una scelta, a posteriori, vincente: trasferirsi a Brooklyn per vivere di musica. Ed è proprio in uno dei bar di Greenpoint che avviene l’incontro cruciale con amici di amici coinvolti in un progetto musicale che sarebbe diventato uno tra i più popolari della Grande Mela: i Woods. La band suona un concentrato di folk e psychedelia west coast davvero viaggiosa. Ascoltare per credere.

Qualche anno più tardi, nel 2011, si formano i The Babies. Storie di coinquilini e disagi assortiti,  Kevin al tempo condivide casa con Cassie Ramone, una riot grll militante nelle scoppiettanti Vivian Girls.  La fusione è perfetta, lui tira fuori i sogni dal cassetto,  le ci mette il garage/rock’n’roll.  Ne escono due dischi godibilissimi di buon livello. I due cantano con rassegnata dolcezza di vita che brucia: piatti sporchi, lavanderie a gettoni, affitti pagati in ritardo, sconfitte diurne,  glorie da stronzi notturne e mattinate con le tempie pulsanti. Il loro album Our House on the Hill suona ancora oggi freschissimo. Se non l’avete ascoltato provvedete subito, lo trovate pure gratis su youtube qui sotto.

Ma ad un certo punto, Kevin socchiude la porta e sente l’esigenza di mettersi in cammino da solo. Il desiderio nasce in pancia ed è troppo forte per essere soffocato.  ‘Harlem River’, il suo primo album solista esce nel 2013, è fatto di canzoni per lo più di ballate acustiche scarne e al contempo ossessive.  Musica per passeggiate nella notte, ronzio di chi si strugge per cercare la propria identità.  La ricerca è incessante e tormentata e al finale assai fruttuosa.   In primo piano, un tombino fumante sulla scena, sprigiona i vecchi veleni di Lou Reed, Cohen e l’intramontabile Dylan di Blonde on Blonde.  

Un disco d’istinto puro, una fotografia il cui senso va colto nel punto centrale, unico proprio perché fuori fuoco.

Non pago, un anno più tardi esce il suo secondo disco “Still Life”. Kevin cambia di nuovo appartamento e ci scopre dentro un pianoforte. Si accende una lampadina, lo studia fino allo sfinimento, lo suona fino allo sfinimento.  Per citare Claudel “La poesia non è fatta di queste lettere che pianto come chiodi, ma del bianco che resta sulla carta”, così nella musica di Morby iniziano a germogliare piccole pause e silenzi, elementi emblematici nella formazione del suo stile.  Immagini sbiadite e bucherellate dimenticate negli anfratti della sua memoria che urlano vendetta.

Il terzo è il disco della svolta, l’artista inizia ad aver a disposizione gli strumenti adeguati  per portare la sua musica ad un altro livello. Arriva un contratto con la Dead Ocean, la casa di artisti del calibro di Califone, Destroyer, Strand of Oaks. Arriva un produttore, Sam Cohen degli Yellowbirds che convince Kevin sovraincidere ossesivamente millioni di tracce. I pezzi diventano sinfonie colme di suoni e suonini: tastiere, archi, violini, corni, fields recordings crepitanti di ritmi della notte: fruscii, sussurri, soffi, bisbigli e persino una lama dentata strofinata con un archetto da violino…da qui il titolo del disco “Singing Saw” corrispettivo inglese (non ridete) di sega canterina. 

Nel complesso il risultato è stupefacente a tal punto che il musicista stesso non riuscirà mai più a tornare sui suoi passi . 

Arriviamo al 2017 con City Music, il suo quarto album solista, uscito nel 2017. Un omaggio ai luoghi che hanno connotato la vita di Morby, la california, il Texas, la Grande Mela. Se il precedente disco era più legato alla natura, alla notte, ai silenzi con questo lavoro il musicista vuole riprodurre i rumori delle città. Un elogio al caos, al movimento vitale.  Come un direttore d’orchestra, l’artista è un vigile che orchestra le sue composizioni trafficate senza mai perdere gentilezza,  eleganza e maestria. Certo ogni tanto qualche ragazzetto impertinente scappa sempre via.  Il rumore dell’impennate che ci riportano ai Ramones, quell’ 1,2,3,4 che riesce sempre a farci alzare gli angolini delle labbra.

Quest’anno è uscito un split in vinile che è impossibile non amare. Si tratta di un paio di cover del compianto Jason Molina e si chiama Farewell Transmission per MusiCares un associazione che aiuta i musicisti in difficoltà. Se cliccate potete vedere e sostenere le tante battaglie che stanno portando avanti.

 

In breve questo è Kevin Morby, un artista pazzesco tutto da scoprire. Guardatevi il live qui per capire di cosa stiamo parlando.

 

Qui potete leggervi le nostre recensioni degli ultimi due dischi:

“Oh My God”

“Sundowner”

a cura di Tum Vecchio