Un inizio prevalentemente folk, una maturità all’insegna dei suoni violenti dell’universo metal (“Abyss” ed “Hiss Spun”, per gli amanti del genere, sono due must have), una vacanzina in compagnia dei Converge per dare alla luce alla creatura “Bloodmoon: I” e ora il ritorno alla solitudine con questo “She Reaches Out to She Reaches Out to She” (titolo concentrico e infinito come si può intuire dalla copertina).

Tutto ciò ci regala una Chelsea Wolfe più che matura, pronta per essere inserita fra le stelle del cantautorato (seppur sui generis) a stelle e strisce, fra una Cat Power e una Lana Del Rey, ma senza la possibilità di un successo commerciale legato al mondo pop.

In questo nono album, la musicista californiana destruttura completamente il suo mondo sonoro, abbandonando del tutto o quasi il mondo folk blues da cui era partita e godendo solo di poche aperture metal soprattutto nei finali di certe canzoni; per il resto Chelsea Wolfe si tuffa coraggiosamente in un universo dark, freddo ed elettronico, dove a farla da padroni sono beat e strumenti digitali. Capolavoro in questo senso è il sesto brano in scaletta, Eyes Like Nightshade, che si regge su un tappeto che sembra rubato ad Aphex Twin.

Un po’ di classicità permane comunque: House of Self-Undoing ricorda il Mark Lanegan più rock di “Bubblegum”, Place in the Sun si appoggia su poetici accordi di pianoforte. È però l’omogeneità dell’intero lavoro e delle sue tinte oscure a dettare il mood e con esso anche una strada a tratti nuova per la cantautrice di Sacramento. Un ennesimo passo in avanti.

Andrea Manenti