Recensione:
La musica di Adelasia, tra pop sporcato di elettronica e qualche influenza della cosiddetta scuola romana, è sempre percorsa da una sottile vena di malinconia. Il disagio post-adolescenziale è una costante che ritorna in varie forme e in diverse situazioni più o meno tipiche di quella età. Ma non si tratta di mera rassegnazione, perché alle delusioni corrisponde sempre un risvolto positivo, una presa di coscienza limpida e distensiva o una spinta reazionaria che fa bene al cuore e alla mente.
È quanto emerge, per esempio, dai singoli che nei mesi scorsi hanno anticipato “2021”, il suo disco d’esordio uscito in questi giorni per Sbaglio Dischi. Aliena, uno dei brani più orecchiabili, parla di un periodo buio, di ansie e inutili frivolezze, quando ricevere compassione non è poi così male. L’impressione è che l’autrice, nei suoi testi, descriva se stessa provando ad astrarsi dal proprio mondo per osservarsi da fuori. Questa tendenza si riassume spesso nell’uso della terza persona, come accade in Controcorrente, ballabile ma con garbo, o in Meglio Soli, in cui la cantautrice lucchese trapiantata nella Capitale racconta della paura di restare soli, di relazioni spente e svogliate, di feste andate male. Alla fine è meglio restare soli, appunto, piuttosto che male accompagnati. «Alle volte pur di vivere la vita in due ci accontentiamo di chiunque – spiega Adelasia – Questa dinamica si ripete anche in altri rapporti: abbiamo paura di perderci dei momenti e per questo sentiamo il dovere di essere presenti, ma non c’è niente di più liberatorio della scelta di stare soli».
Acqua, invece, vede la giovane Adelasia protagonista in prima persona, persa tra i ricordi ormai sbiaditi nel susseguirsi sempre uguale delle stagioni. I colori pastello, la voce celestiale (Camera Mia) e le atmosfere sospese (Umido) si prendono comunque la scena per l’intera durata del disco. Un pregio, certamente, che tuttavia in futuro necessiterà di risolversi in nuove soluzioni, per rendere ancora più corposo il progetto. A ricordarcelo, in fondo, è la stessa Adelasia: per diventare grandi bisogna lottare, comunque vada.
Paolo
Intervista:
Il nome del tuo primo disco deve tutto al civico 2021, dove sei cresciuta. Quali sono i tuoi primi ricordi in quella casa? Hai modo di tornarci?
Ci torno alcune volte a trovare i miei genitori. Mi ricordo che mia madre aveva una scatola piena di bottoni e passavo interi pomeriggi a selezionare i più belli, così perdendo tempo, perchè in campagna il tempo scorre più lento.
Adelasia è il tuo vero nome, ma sembra un nome d’arte scelto appositamente per rappresentare il tuo stile, fatto di atmosfere acquatiche e di elettronica minimal. Ci racconti la storia che c’è dietro il tuo nome?
Era il nome di mia nonna, che era una tipa incredibile, guidava una Punto che aveva fatto ridipingere a strisce bianche e nere. Mi piace avere il suo nome, mi fa sentire un po’ strana e mi piace essere un po’ strana.
Che cosa significa per te questo disco e in che modo ora sei un’Adelasia 2.0?
Questo disco significa recidere il cordone ombelicale con la Adelasia del civico 2021 per scoprire l’Adelasia del futuro, l’Adelasia del 2021.
Quali sono, a tuo parere, gli ingredienti che fanno “2021”?
Sensibilità, cura, dolcezza, una dose di fallimenti e un sacco di curiosità.
Immagina di portarci in studio con te. Cosa accadrebbe?
Probabilmente io arriverei in ritardo, nonostante siano le quattro di pomeriggio vi chiederei di accompagnarmi a pranzare perchè sicuramente avrò dimenticato di farlo. Torneremo in studio e mi sforzerei di capire chi siete e come pensate. Probabilmente rimarrete sorpresi dalla quantità di domande che vi farò e noterete la mia ansia perchè mi mangerei le unghie e non riuscirei a stare ferma seduta, composta.
Prossimi step del progetto?
Live più che posso, scrivere un nuovo disco, conoscervi.

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.